Riflessioni sulla mobilità a partire da due fatti di cronaca automobilistica.
Due fatti recenti hanno riportato in auge il tema degli omicidi automobilistici, due gocce nel mare delle morti in strada (quattromila all'anno solo in Italia, 127 mila in Europa), ma che sono finiti in prima pagina per le modalità: la ragazza trascinata dal SUV per quattro chilometri e il bimbo di due anni dimenticato in auto dal padre sotto il sole per otto ore.Due tragedie che mostrano senza ombra di dubbio la pericolosità e l'inadeguatezza tecnologica delle orrende scatole di latta che abbiamo messo a simbolo e traino della nostra molesta civiltà industriale.
Sul fatto del SUV sorvolerei: abbiamo già parlato anche su queste pagine dei problemi generati da questi inutili giganti a quattro ruote (consumo, sperequazione sociale, prepotenza, ma soprattutto sicurezza).
È senza dubbio la morte del piccolo Luca Albanese, lasciato in auto per una decina di ore al sole, a suscitare le maggiori riflessioni. In molti hanno sottolineato i problemi socio-psicologici, legati all'alienazione del padre per traffico e lavoro.
Altri hanno sollevato sommessamente una questione di genere, e in effetti fatico a credere che una madre commetterebbe la stessa disattenzione (spero di non essere smentito dai fatti).
Ma nessuno ha sollevato secondo me un problema fondamentale: aldilà del sole e della distrazione/alienazione del padre, il vero assassino è l'automobile. Un attrezzo con un abitacolo chiuso, stagno, fatto di metallo e vetro. Basta un raggio primaverile di sole, e diventa un forno. Uno strumento di tortura (e di morte) più che di trasporto.
Perché le nostre auto sono fatte così, e non per esempio di materiali più adatti a ospitare degli esseri viventi (plastica, legno)? Perché sono chiuse ermeticamente in modo da non lasciare scampo a chi vi si trovi inavvertitamente dentro?
Perché le nostre strade pullulano di mostri metallici e non si vedono più auto come la Citroen Mehari (nella foto)? Non è per proteggerci dalle intemperie, ma per la velocità. Una baracchetta del genere può portarci in giro sì e no a 60 km/h, mentre noi, per circolare nelle nostre città, abbiamo bisogno di vetture che facciano almeno i 150-200 km/h.
In nome del falso mito della velocità ci siamo sbarazzati completamente della mobilità pubblica, e ci siamo dotati di mezzi di trasporto che qualunque essere razionale considererebbe con ribrezzo e fastidio, invece ne andiamo orgogliosi e spendiamo fortune per acquistarli e manutenerli.
La velocità è il primo responsabile dei morti sulle strade, la più grande e sottovalutata strage della nostra epoca, e dell'aberrazione dalla logica in cui siamo piombati, eppure l'appello di veramente.org per l'effettiva limitazione della velocità sulle strade giace da mesi alla cifra di 146 sostenitori.
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