Durante la prima guerra mondiale il Piave divenne la linea di ultima resistenza di fronte all'avanzata delle truppe austro-ungariche. Oggi, di fronte al dilagare di Expo, TAV, TPP, TTIP, società promotrici di autostrade e trafori vari, partiti degli affari, multinazionali dell'agro-chimica, ecc. vale la pena di capire su quali temi vada organizzata la nuova linea di resistenza.

L'Internazionale del 22 maggio riporta le opinioni di Joseph Stiglitz, ex capo della Banca Mondiale e premio Nobel per l'economia. Stiglitz sostiene che i trattati internazionali Trans-pacific partner-ship (Tpp) e Transatlantic trade end investment pertership (Ttip) non sono rapporti tra pari: in entrambi i casi sono gli Stati Uniti a dettare le condizioni. Gli accordi infatti impongono modifiche fondamentali alle leggi dei singoli paesi senza l'intervento delle istituzioni democratiche. Si vorrebbe far credere che il vero scopo delle misure imposte da questi trattati è la tutela degli investitori, ma l'obbiettivo di queste misure è intralciare tutte le norme sanitarie, ambientali e finanziarie che servono a difendere l'economia e i cittadini.

Il premio Nobel evidenzia la reale possibilità che le multinazionali possano denunciare i governi e pretendere un risarcimento nel caso che una norma possa ridurre i loro profitti. Non si tratta di una eventualità teorica. Sta già succedendo. In realtà nessuno conosce i contenuti di questi trattati, se non per le indiscrezioni di alcuni funzionari. Un sistema giudiziario imparziale si basa sulla trasparenza e sulla possibilità di ricorrere in appello. Tutto questo viene messo da parte nei nuovi trattati, che prevedono il ricorso ad arbitrati privati, non trasparenti e molto costosi. Nessun piccolo stato è in grado di sostenere il peso economico di cause così onerose, meno che mai potranno farlo delle associazioni o dei singoli cittadini. Stiglitz ci ricorda che le norme e le regole determinano il tipo di economia e di società in cui viviamo. La domanda è se possiamo permettere alle multinazionali di sfruttare i trattati commerciali per decidere come vivremo nel ventunesimo secolo.

Patrick van Zwanenberg, sul The Guardian, fa alcune valutazioni sul glifosato, il diserbante più utilizzato al mondo. Come tutti sappiamo l'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) lo ha definito "probabilmente cancerogeno". La valutazione dello IARC è in netto disaccordo con l'opinione dei principali enti di regolamentazione del mondo. L'anno scorso il governo tedesco, per conto della Commissione europea, ha concluso che non c'erano prove che il glifosato fosse cancerogeno o mutagenico né che costituisse un pericolo grave per la salute. Tutte le altre agenzie hanno espresso più o meno lo stesso parere. Lo IARC ha il compito di fornire all'Organizzazione Mondiale per le Sanità e agli stati prove sicure per contrastare il cancro. Lo IARC deve ancora pubblicare il rapporto completo, ma è evidente che ha usato criteri diversi per la scelta delle prove da valutare, ha espresso pareri diversi sulla affidabilità di alcune di queste prove ed ha interpretato in maniera differente i risultati di alcuni studi sperimentali.

Dell'EXPO abbiamo discusso ripetutamente. Sulla TAV abbiamo sentito i pareri più diversi, come pure sul traforo e su tutte le infrastrutture stradali attualmente in fase di progettazione o di costruzione. Il dato comune è che a promuovere le varie iniziative c'è sempre un pool di grosse imprese molto ammanicate con la politica e in grado di corrompere qualsiasi funzionario pubblico. Abbiamo visto come in questi anni Tosi ha condotto la questione del traforo: documenti secretati, oppositori querelati, accordi modificati di continuo, contratti di consulenza come se piovesse. I cittadini veronesi non hanno mai avuto la possibilità di conoscere, di discutere, di approvare o disapprovare quanto veniva via via deciso dalla Giunta comunale.

La linea Piave passa per questo confine: da una parte potenti gruppi industriali con interessi enormi e mezzi illimitati, dall'altra i cittadini di una città, di una regione, di uno stato, quasi sempre privi di risorse e abbandonati a sé stessi dai partiti, dai sindacati e dalle associazioni che dovrebbero tutelarli.

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