Un grande maestro e un grande studioso della tradizione popolare veronese. Un uomo profondamente legato alla terra e alla sua cultura.

Si sa che l'inverno s-ciara i veci e il Dino, magari quando stava per nar in catinora, per un attimo avrà ripensato a questo detto e a come lui non lo stesse rispettando.

Si! Parché se sa,.par far un proverbio ghe vol çento ani!

Ma chi è che parla più per proverbi? Parlar per proverbi, il parlar Adesante, il parlar dei bacani, e il latinorum, rielaborato in vernacolo dal popolino così da non perderne il significato. Nunc et in hora mortis: nar in catinora!. Morire, per l'appunto. Amen. Tutto morto, tutto scomparso: el versor assieme ai bò che zupiava nel campo, i traghetti sull'Adige, il cuco, le kalendre e la Luna. Tutto affogato nel naufragio di una cultura altra, assieme alle altre migliaia, voluta dalla Scienza e perseguita cinicamente dal suo braccio secolare, la Tecnè. Dino si era battuto strenuamente per salvare il salvabile. Lui aveva capito tutto. Senza la Terra, la dura Terra ma per sempre Madre, non si va da nessuna parte. Anche adesso che il parlar per proverbi è stato sostituito dal parlar per acronimi (MIBTEL, BOT, CCT, NASDAQ, …), di cui, ora come una volta, non se ne capisce il significato. Proprio adesso che la finanza creativa sembrava il sostituto adeguato di sementi e raccolti.

Dino era partito dalla Terra, dai leori che erano braccati dai lupi famelici di un capitalismo agrario nel pieno dell'ennesima metamorfosi. Ma stavolta era diverso. Si, perché il bracciante, che a disposizione aveva solo il proprio corpo, adesso doveva competere con le macchine. Quel mondo si disgregò facilmente in mezzadria, che agli albori degli anni Sessanta divenne metal-mezzadria. Ed ora non è più nulla. Gli eredi, per un pugno di euri, si sono svenduti l'anima al diavolo. Così prossimamente sugli schermi di Vigasio, Isola e Trevenzuolo, in luogo di bò che zupia e versori vedremo bolidi sfavillanti e brulicanti centri commerciali.

Il nonno Moro, intanto, si rivolta nella tomba. Il nonno Moro che, bontà sua, aveva frainteso educazione scolastica con emancipazione sociale. Non aveva cioè capito, come invece succederà più tardi al nipote, che questa educazione, di questo Stato in questo Occidente, implica l'abbraccio di un modello omologante distruttivo, non rispettoso dei ritmi arcaici di Madre Terra.

Giocoforza lo studio della Terra aveva portato Dino ad abbracciare olisticamente tutte le sfaccettature della Terra stessa (in versione bassa veronese). Dagli animali alle piante, dalla cultura contadina ai mestieri, agli arnesi ai vari aspetti del carattere umano. Così abbiamo imparato da Dino che co' canta el cuco che da far dapartuto, che ogni erba che varda in su g'à la so virtù, che cos'era la batisessola (lucciola), che l'omo par la parola e el musso par la caessa, che sasso che rugola no fa mus-cio. Osservando le kalendre che va in su e quele che va in zò, il contadino poteva trarre previsioni sulla prossima annata agraria. Previsioni che poi sarebbero state confermate dalla seola del 25 Gennaio, giorno di San Paolo dei Segni. Il pulsare della vita contadina era scandito dalle Quarantìe, periodi di quaranta giorni, contraddistinti dalle varie attività (la semina, la mietitura …), dai setoni (sette giorni) e dalle sincuine.

A cui sovrintendeva dall'alto la Luna, e non il Sole. Cultura di vita, quindi, non guerriera. Luna a cui i contadini non avevano bisogno di chiedere che cosa mai facesse "in ciel".

Questo modello, che permetteva all'Uomo di orientarsi e di fornirgli un'Etica, era passato indenne dalla cultura pagana a quella cristiana. E aveva mescolato in maniera mirabile aspetti dell'una e dell'altra tradizione. Così a Sant'Ana el rondon se slontana, "… la rugiada di San Giovanni guariva dalla scabbia e dai malanni della pelle; le donne che si bagnavano le loro parti intime acquistavano bellezza e fertilità …" (pag. 289 di "Santi e Contadini").

Il tutto era incollato, ovviamente, dal Logos, dalla parola. Parola analizzata da Dino visceralmente, fino alle origini sanscrite del nostro linguaggio, vedi ad esempio "L'altra lingua" oppure le rubriche "Parliamo di parole", "Il proverbio", "Modi di dire", tenute giornalmente negli anni su L'Arena.

Come era da aspettarselo, Dino, ultimo fra i saggi di questa terra veneta diventata negli ultimi decenni ricca materialmente ma assolutamente povera spiritualmente, aveva lasciato scritto il suo testamento in due fiabe, Bertoldo sulla Luna e Pugnetto.

Nel primo Dino annota che "… La tradizione orale ha più volte ripreso la figura del contadino che si confronta con i potenti, in un gioco di astuzia e in cui il potere resta beffato. Questa volta Bertoldo si esilia dalla terra e si fa custode del destino dell'umanità impedendo il ritorno dei cervelli che più l'hanno danneggiata. Sulla Luna ritrova l'antico spirito del contadino che porta la vita dove non ancora esiste, semina e pianta, fa crescere tre enormi querce, visibili dalla Terra come le eterne ombre di Salvanello e di Caino. Il vero legame tra la Terra e il suo satellite viene così costruito dalla fantasia popolare più che dalla scienza e dalla tecnologia e resta testimone di un mondo armonico, in grado di continuare la vocazione divina dell'uomo, custode della natura e del creato. Bertoldo ne diventa il simbolo, al di sopra dei destini umani, dilaniati da un'improvvisa voglia di autodistruzione …".

In Pugnetto, invece, Dino ci spiega che: "Pugneto è il protagonista di una fiaba diffusa nella Bassa veronese e che ho raccontato e trascritto in "Paese perduto". Questo strano personaggio mi è servito come inizio del mio racconto (non è di fatto più una fiaba), che vuole sviluppare il confronto fra la tradizione orale e la scienza, la prima crede nel soprannaturale, si affida all'antica sapienza per capire il mondo, la seconda intende spiegare l'universo terrestre extraterrestre con la ragione (la testa di vetro). … La narrazione finisce con la sconfitta della scienza e il trionfo della tradizione, con la liberazione della fiaba che rende uguali nel cuore uomini e animali e nessuno si sente diverso."

Come tutti quelli che avevano ragione, il Maestro Dino Coltro finirà presto nel dimenticatoio. Divorato da questa società che tutto macina e niente digerisce. A brandelli, destra e sinistra se ne contenderanno (operazione già iniziata nel necrologio) la memoria e l'eredità, per titolargli qualche oscura via nell'ennesima urbanizzazione che ruba terra ai campi nella fertile pianura. Cosa che, crediamo, in vita avrebbe respinto con vigore leonino.

Ma, come se sa, el tempo l'è galantomo. E nel suo fluire, fra non molto, ci farà amaramente riscoprire le crude verità del Maestro di Rivalunga: l'illusione della sfrenata libertà dell'Uomo Moderno e il suo inevitabile ritorno alla schiavitù della Terra (Madre), atterrando malamente dal mondo virtuale di internet.

Nota

Che la Scienza sia responsabile dell'attuale degrado della Biosfera e della sua parte umana lo si desume dal fatto che essa ha esportato i suoi modelli galileiani (ripetibili nel tempo) all'interno della sfera economica e sociale, generando l'Uomo Uguale e Ripetibile, nello spazio e nel tempo. Con gli stesi sogni e gli stessi desideri, ovunque. Filosoficamente il punto di rottura si può fare risalire al Cogito Ergo Sum, che sancisce la superiorità dell'essere razionale, dando così il via libera al predominio della res cogitans su tutto il resto, ovvero sulla res extensa (piante, alberi, animali, mari, laghi , …).

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