Impressioni dall' incontro con Mauro Corona al Palazzo della Ragione

Ai tempi torcoladi de paura

quando g'avea reson la spada,

Verona se trovava soto cura

de re Alboin: ‘na rassa malcunada.

(Incipit dal "Bertoldo" di Tolo da Re).

Dai trascorsi longobardi non è poi cambiato molto: la rassa che ci governa è sempre malcunada. Forse, rispetto ad allora, anche i sottoposti lo sono diventati …

C'è, qui da noi a Verona, un filone che vuole il personaggio creato da Giulio Cesare Croce, ripreso magistralmente da Tolo da Re, originario dal Parparo lessinico. "Scarpe grosse e cervello fino", l'allocuzione usata per riassumere l'essenza di Bertoldo: con l'arguzia, nonostante l'aspetto disgraziato, il buon montanaro dispensa saggezza a piene mani, anticipando tempi ed eventi: quando piove è contento perché sa che verrà il sole, e viceversa.

Qualche giorno fa mi trovavo con il piccolo Lorenzo in uno dei palazzi del potere medievale scaligero, il palazzo della Ragione. Quando, magicamente, si è materializzato il Bertoldo moderno: scarpe grosse, anzi scarponi da montagna, e cervello coperto da una folta peluria: Mauro Corona da Erto, meglio Nert, Valcellina. Birra in mano, trainava il carretto pieno delle sue abituali mercanzie: mestoli, manére e scufòns, sinuose betulle e cocciuti carpini, lune piene e martore, ubriaconi e violentatori. Il Celio e Neve, Santo Corona e Ota Filippin, le Cime di Pino, il Vajont, la Val Cimoliana e il Campanile di Val Montanaja.

Tutto di carta.

Il suo eloquio, a volte sboccato, ha cominciato a scaldare la platea dei piccoli Alboini. Si, perché adesso siamo un po' tutti come il re longobardo: abbiamo tutto, e anche di più, ma siamo profondamente infelici. Non sappiamo più ridere. Non sappiamo più cantare, né coltivare amicizie sincere. Non sappiamo più cantare e succhiare la vita come le api il nettare. Non abbiamo più tempo, schiavi e immolati al Modello.

A piccole dosi il folletto disperso nei boschi inocula in sala la sua medicina "Voi ve le bevete tutte, vi dicono di vino che sa di mandorla, di ciliegie o di vaniglia. Mai sentito niente. E si che ne ho bevuto petroliere, di vino!" La gente si scioglie e scoppia in risate liberatorie.

La logica di Bertoldo-Corona sembra rozza ma il furbo montanaro prepara sapientemente il terreno. Che sfocia nell' elogio della semplicità e della lentezza, cantate ovunque nelle pagine dei suoi libri. L'intento di Bertoldo-Corona, fin dall'inizio della sua produzione, è chiaro: istoriare a futura memoria le tradizioni e la sapienza popolare accumulati dalla sua gente attraverso i secoli. Cancellate in un soffio da pochi decenni di modernità.

Gli Alboini in sala continuano a sorridere, ma non capiscono che, come riflessi dallo specchio deformante di Alice, stanno ridendo della propria caricatura. "Fra poco sarà Natale, ma lo sapete che se tagliate l'abete in luna piena di novembre, questo non perderà mai gli aghi?". Ohhhh di stupore.

In un crescendo avvolgente Corona arriva al dunque, presentando il romanzo di prossima pubblicazione rimasto a lungo nel cassetto: "La fine del mondo storto" (anticipato su Repubblica del 20/4/2008): "Un giorno il mondo si sveglia e scopre che non c'è più petrolio, né corrente elettrica, né gas, né carbone. …"

La gente esce contenta dalla Palazzo della Ragione(!).

Ignara che, dietro l'angolo, c'è in agguato la Nemesi delle manére e delle sgorbie, della luna piena e delle schiene piegate sulla dura Terra.

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