Mario Rigoni Stern era uno dei nostri padri; ci ha lasciato in eredità il suo sconfinato amore per questo mondo raccontato stupendamente nei suoi libri.

Un plumbeo pomeriggio di fine primavera in una grigia città della megalopoli padana. Sul lavoro. Vedo per terra una penna d'uccello. E' di colombo, il calamo è intatto. Risalgo al predatore: è un rapace.

La scena dell'attacco si svela quando vado a prendere la bici per tornare a casa. Nei pressi, delle borre. Quindi è stato un rapace notturno, un gufo, forse un allocco. Alla sera apprendo che se ne è andato per il viaggio più lungo Mario Rigoni Stern, il saggio da Schlege, l'Asiago dei Cimbri.

Ma sì! Che stupido a non averci pensato prima. Il gufo, silenzioso, è sicuramente uscito da una pagina de "Il Bosco degli Urogalli", nascosto tra le fronde di una pianta di "Arboreto selvatico".

Betulle e faggi. Il rumore delle foglie pestate a fine autunno, gli effluvi del pino mugo, l'odore del cirmolo. E poi cinciallegre, ciuffolotti e galli cedroni che, non a caso, adesso stanno impazzendo; pernici bianche.

E il lepre. Così, al maschile. Che come noi scappa, anima in pena, da questa brutale civiltà, "civilization", che ha annullato lo spazio e il tempo. Che come noi scappa verso la "silvilization", verso la civiltà del bosco, la silva latina. Il bosco, il regno di Mario.

Con i suoi ritmi atavici, quelli sì, senza tempo, che ci riconducono, ebbri di hybris distruttiva, alla Vita, all'elan vital che tutto informa. E di cui ci siamo dimenticati, scesi nel perso vallo della Techne. Grazie Mario, per averci fatto ridiventare Uomini.

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