La nostra è una società che si considera evoluta, tra le prime al mondo, e, come tutte le democrazie occidentali, sta attraversando una fase di fortissima contraddizione tra il livello della qualità di vita raggiunto e le condizioni economiche e le risorse ambientali dalle quali dipende. Questa situazione in Italia è aggravata da una radicata carenza di cultura scientifica e ambientale e se alcuni dei cambiamenti che si sono realizzati nei decenni scorsi sono comuni alle società occidentali, altri costituiscono degenerazioni che hanno raggiunto livelli particolarmente gravi nel nostro Paese (come la fragilità idrogeologica del territorio, la dispersione illegale di rifiuti tossici, l'irrazionale espansione dell'urbanizzazione, l'aggressione turistica delle coste e delle montagne, la perdita di biodiversità degli agroecosistemi, la corruzione della politica e delle istituzioni o l'espansione della malavita organizzata).

Ci si augura, guardando alle giovani generazioni, che venga a prevalere una capillare reazione della parte sana della società. Un motivo attuale che potrebbe costringerci ad affrontare le radici della questione è costituito dalla crisi economica e ambientale. Paradossalmente le gravi difficoltà economiche derivanti da una globalizzazione che si riteneva potesse essere lasciata guidare dal mercato stesso, ci ha invece costretto a guardare con spirito critico e rivedere profondamente le logiche del "progresso economico", l'insostenibilità di una crescita economica senza fine e a riprendere in considerazione il valore degli indicatori (come il PIL) che ancor oggi guidano l'economia internazionale (LATOUCHE, 2007; PALLANTE, 2009).

La globalizzazione raggiunta nei rapporti economici e nel flusso delle merci, delle persone e dell'informazione ha portato in drammatica evidenza i limiti e le contraddizioni di un mondo con poca e spesso senza etica, di norma regolato dalle sole leggi di mercato (GALIMBERTI, 2009)

La situazione attuale è caratterizzata da una lenta ma progressiva presa di coscienza della necessità di rivedere profondamente il concetto di progresso economico e di qualità della vita. Probabilmente è proprio l'idea di mettere l'ambiente che ci ospita al centro di una nuova visione del mondo, che può costituire l'unica alternativa per garantire un futuro all'umanità (GEORGESCU-ROEGEN, 1982). Lo stesso Benedetto XVI nell'enciclica "Caritas in veritate" (29/06/2009) dedica un intero capitolo alla crisi ambientale e suggerisce come unica soluzione possibile quella di un effettivo cambiamento di mentalità che ci induca ad adottare nuovi stili di vita per una crescita consapevole e sostenibile di tutti i popoli e che attenui la asimmetrica distribuzione delle risorse. Viene indicato come dovere gravissimo. E' da tutti considerato un dovere primario quello di consegnare la terra alle future generazioni "in uno stato tale che anch'esse possano degnamente abitarla e ulteriormente coltivarla". Dobbiamo tuttavia fare in fretta perché nel frattempo l'asimmetrica distribuzione e sfruttamento delle risorse ambientali da parte dei paesi sviluppati sta portando alla nascita di conflitti sempre più numerosi la cui gravità potrebbe portare a degenerazioni incontrollabili.

Il filo rosso che lega globalizzazione, agricoltura, salute e ambiente

Le problematiche di perdita della biodiversità legate allo sviluppo agricolo non possono essere trascurate e i rapporti fra globalizzazione, agricoltura, salute ed ambiente rappresentano problematiche molto più gravi e cariche di conseguenze di quanto si voglia far apparire. Costituisce infatti di uno dei molteplici aspetti legati al processo di competizione che deriva dalla monopolizzazione del mercato delle sementi (del quale gli OGM sono solo la punta dell'iceberg) e della chimica per l'agricoltura da parte di alcune multinazionali ed è ormai esteso a tutta l'economia mondiale.

Sui rischi per tutti noi derivanti dall'uso di fitofarmaci e sui danni economici (dipendenza e crisi di interi Stati latino-americani, africani ed asiatici), culturali (perdita di tradizioni e colture millenarie), ambientali (paesaggi sconvolti, grave perdita della biodiversità), alla salute (aumento vertiginoso di malattie neoplastiche e degenerative, non più limitato alle aree a rischio), che sono stati procurati in tutto il mondo dalle grandi multinazionali, sono sufficienti le denunce e le documentazioni raccolte ormai da varie fonti (ROBIN, 2009; VANDANA, 2009).

E' un argomento complesso e spinoso, sul quale si concentrano molte resistenze di carattere politico ed economico, che tuttavia, per le conseguenze che ha sulla vita di tutti, non può essere trascurato o lasciato all'iniziativa di pochi. Sulla base della mia esperienza, cercherò di affrontarlo da un punto di vista pratico, mettendo insieme i dati che ho raccolto nella mia attività di ricerca, con le informazioni che sono disponibili per tutti, anche se non è facile in poche pagine chiarire i rapporti esistenti tra tanti aspetti diversi e, a prima vista, del tutto indipendenti.

Il consumo di territorio e la considerazione dell'ambiente in Italia

Il suolo è una risorsa non rinnovabile che continuamente consumiamo: le abitazioni, le industrie, le strade, le ferrovie, i porti, le centrali elettriche, le discariche occupano porzioni più o meno ampie di territorio trasformandole in modo pressoché irreversibile. Il ritmo di questi processi è cresciuto negli ultimi anni in modo esponenziale. Quello dell'aumento del consumo di suolo è un fenomeno globale, ma che è più problematico in Paesi di antica e intensa antropizzazione come l'Italia, in cui, per la scarsità di suolo edificabile, l'avanzata dell'urbanizzazione contende il terreno all'agricoltura e spinge all'occupazione di aree sempre più marginali, se non addirittura non adatte all'insediamento, come quelle a rischio idrogeologico. Nel nostro Paese è ancora fortissima la tendenza a cementificare disordinatamente il suolo libero: l'abusivismo edilizio, che in alcune aree geografiche è purtroppo ancora molto rilevante, così come la crescita a macchia d'olio delle città, senza piani regolatori che tengano debitamente a cuore le esigenze ambientali, e l'integrale urbanizzazione di lunghi tratti delle coste hanno segnato lo sviluppo territoriale dell'Italia contemporanea.

Per comprendere la gravità del fenomeno legato al consumo di territorio basta guardarsi intorno. In Italia la fascia di territorio più estesa è quella collinare, ad eccezione della Pianura del Po, assai ridotte e poco estese sono le aree di pianura, dove l'attività agricola, grazie alla possibilità di irrigazione, può raggiungere i massimi livelli di produzione. Eppure non c'è Comune (neppure quelli montani in fase di decrescita demografica o quelli di alta collina ormai da anni a crescita zero) che non abbia destinato la sua piccola porzione di terreno pianeggiante per destinarlo all'urbanizzazione industriale e infrastrutturale, oltre che naturalmente ad aver progressivamente ampliato gli spazi più comodi per l'espansione abitativa (BEVILACQUA, 2006; BIANCHI, ZANCHINI, 2011).

Se ne parla da tempo, ma non sono stati fatti passi sostanziali e decisivi verso una economia mondiale che ponga le risorse naturali e la loro qualità (sia per le condizioni di vita attuali che per quelle delle generazioni future) alla base di ogni calcolo di valore monetario, oggi pressoché nullo per acqua, aria, suolo.

La gestione assurda dei fiumi, sui quali si interviene con il completo rimodellamento del greto e delle sponde, come se si trattasse di semplici canali artificiali. Se l'obiettivo è quello di evitare esondazioni, il risultato è invece, per limitarsi agli aspetti più gravi, una maggiore fragilità del sistema per quanto riguarda il deflusso delle acque, come pure una ridotta capacità di depurazione, oltre alla perdita di funzionalità dei sistemi biologici, accompagnata dalla semplificazione della biodiversità sia animale che vegetale degli ecosistemi acquatici.

Ambienti collinari dall'aspetto apparentemente gradevole ed equilibrato , che invece sono minati da un sistema di utilizzazione agricola che ha determinato, tra le altre, una gravissima perdita di biodiversità (TASINAZZO, 2006) ed una profonda fragilità idrogeologica (in analogia con i problemi ambientali delle grandi superfici agricole ipersfruttate e profondamente alterate della pianura del Po).

Ci sono sempre più agricoltori miopi e superficiali che utilizzano il diserbo anche al di fuori delle aree coltivate, ma anche semplici cittadini, che irrorano le fasce erbose con erbicidi per evitare lo sviluppo delle erbe infestanti si considerando gli effetti negativi sulla stabilità del terreno, sulla copertura vegetale e sulla perdita di biodiversità e di maturità. La pratica del diserbo utilizzata in agricoltura, erroneamente considerata come alternativa allo sfalcio, viene ora proposta da Amministrazioni territoriali nazionali (ANAS) e locali (Comuni e Provincie) per un supposto risparmio economico nella gestione delle strade pubbliche e con l'errata convinzione di combattere le allergie da polline o di conseguire un risparmio economico. Scelta sostenuta in forma sotterranea dalle industrie chimiche che producono diserbanti, ben sapendo che, una volta effettuato il primo trattamento, si dovrà continuare anche negli anni successivi per evitare la proliferazione delle erbe più aggressive, libere di espandersi, in seguito alla scomparsa della vegetazione che presidiava il terreno.

In tutti gli esempi sopra esposti (e sono purtroppo solo una piccola parte dell'assurdo e irrazionale modo di manipolare l'ambiente con criteri angusti e finalità speculative) la condizione naturale è quella che appare al grande pubblico come disordinata e meno attraente, mentre quella artificiale viene considerata, anche dagli organi di informazione, come ordinata e rassicurante.

Siamo ormai consapevoli che l'ambiente è una risorsa unica e limitata, dobbiamo cambiare abitudini, modi di pensare e c'è molto lavoro per ciascuno di noi! Sia dal punto di vista didattico, che sul piano informativo, ma anche nella formazione dei tecnici e degli amministratori che operano nel settore ambientale e infine sul ruolo dei mass media e di noi cittadini. La collaborazione tra chi fa ricerca e chi si occupa di gestione del territorio risulta pertanto di fondamentale importanza, ben sapendo che sarà un elemento indispensabile di qualunque auspicabile cambiamento nel prossimo futuro.

Nell'ambito delle politiche europee, va ricordato che l'Unione Europea con la PAC 2000-2006 aveva destinato un importante ruolo alle misure agro-ambientali (2° pilastro) e, in fase di resoconto finale, ha chiesto alle regioni di valutare la variazione della biodiversità ottenuta. Risultato?

Nessun PSR regionale ha messo in atto sistemi di monitoraggio della biodiversità sufficientemente rappresentativi all'interno delle aree destinate all'agricoltura (TAFFETANI, RISMONDO M., LANCIONI A., ZITTI S., 2008).

Marginali, se non nulle, sono state le integrazioni al sistema delle pratiche minime di manutenzione del territorio (la condizionalità), il cui rispetto permette alle aziende di accedere a qualsiasi misura di finanziamento. Il sistema di lavorazioni minime, predisposto a livello nazionale, è costituito da una base gravemente incompleta, che prevede la realizzazione di "fossi acquai temporanei" ad almeno 80 metri gli uni dagli altri, sistema che avrebbe dovuto essere integrato ed approfondito sulla base delle peculiarità regionali. Mentre non sono stati apportati miglioramenti normativi, occorre rilevare inoltre che non è stato fornito alcun indirizzo sulle condizioni e le modalità di gestione dei fossi principali lungo la massima pendenza nelle aree collinari, con il risultato che risulta ormai cancellata ed artificializzata una porzione importante del reticolo idrografico minore (TAFFETANI, RISMONDO M., LANCIONI A., 2011), anche in zone ad alto rischio per l'elevata componente argillosa. Questo vago sistema di regole, anziché costituire una tutela del territorio, come avrebbe dovuto essere nelle intenzioni, ha determinato una capillare e drastica semplificazione dei paesaggi collinari nel corso della sua applicazione nell'arco di poco più di un decennio.

La quota delle attività produttive di tipo convenzionale è rimasta largamente preponderante sia nelle grandi pianure settentrionali, che in gran parte dei sistemi collinari appenninici, come pure nell'area mediterranea.

Gli effetti dei sistemi di produzione a basso impatto (agricoltura integrata, agricoltura blu, agricoltura biologica, agricoltura biodinamica, ecc.), sono stati valutati esclusivamente a livello teorico. Mentre il livello di biodiversità dei paesaggi rurali è drammaticamente crollato (Fig. 4).

Bibliografia

BEVILACQUA P., 2006 - La Terra è finita. Breve storia dell'ambiente. Laterza.

BIANCHI D., ZANCHINI E, 2011 - Ambiente Italia 2011. Il consumo di suolo in Italia. Istituto Ambiente Italia.

GALIMBERTI U., 2009 - I miti del nostro tempo. Feltrinelli.

GEORGESCU-ROEGEN N., 1982 - Energia e miti economici. Boringhieri.

LATOUCHE S., 2007 - La scommessa della decrescita. Feltrinelli.

PALLANTE M., 2009 - Decrescita felice. La qualità della vita non dipende dal PIL. Editori Riuniti.

ROBIN M.-M., 2009 - Il mondo secondo Monsanto. Arianna Editrice.

TAFFETANI F., RISMONDO M., LANCIONI A., 2011 - Environmental Evaluation and Monitoring of Agro-Ecosystems Biodiversity. In: Ecosystems Biodiversity, Oscar Grillo and Gianfranco Venora (Ed.), InTech: 333-370.

TAFFETANI F., RISMONDO M., LANCIONI A., ZITTI S., 2008 - Considerazioni conclusive sulle problematiche agro-ambientali delle Marche. In: Valutazione quantitativa delle misure agroambientali del Piano di Sviluppo Rurale delle Marche. Regione Marche.

TASINAZZO, 2006 - Sul regresso della flora segetale dei campi di frumento ed orzo: il caso dei Colli Berici (Vicenza – Italia settentrionale). Distribuzione attuale delle specie più rappresentative. Ann. Mus. Civ. di Rovereto, 21: 211-241.

VANDANA S., 2009 - Campi di Battaglia. Biodiversità e agricoltura industriale. Ed. Ambiente

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