L'economia ha sempre avuto bisogno della figura dell'imprenditore, ma nella storia la sua funzione è cambiata moltissimo. La crisi ha messo a dura prova il mondo dell'imprenditoria ed ha fatto crollare molte delle consuetudini e delle certezze che si erano consolidate negli ultimi decenni.

Fare l'imprenditore è un mestiere difficile, molto difficile, soprattutto negli ultimi anni. C'è bisogno di una profonda conoscenza del mestiere che si vuole intraprendere; serve una buona visione delle condizioni generali in cui si opera; è indispensabile saper cogliere in anticipo i cambiamenti che attraversano la società; ci vuole coraggio, lungimiranza, determinazione e molto buon senso.

Non è finita, perché l'imprenditore deve saper gestire una complicata rete di relazioni con clienti, fornitori, collaboratori e consulenti. Deve fare i conti con un sistema fiscale studiato apposta per farlo fallire e con un sistema legislativo che non gli offre nessuna garanzia al momento della riscossione dei crediti. Inoltre opera in un contesto politico che è fatto di clientele, di mafie e di favoritismi: le cronache giudiziarie degli scandali relativi agli appalti pubblici non lasciano alcun dubbio sul sostanziale clima di illegalità in cui vengono banditi i concorsi ed affidati gli appalti.

In questo non facile contesto si è sempre più sviluppato fra gli imprenditori un atteggiamento spregiudicato che non tiene in alcun conto le regole, le leggi e gli interessi generali. Una ventina di anni di cinica propaganda politica basata sulla insopportabile pesantezza di "lacci e lacciuoli" e sulla proclamazione ossessiva del principio "paroni a casa sua" hanno convinto molti imprenditori a mettersi sotto i piedi qualsiasi regola, legge o interesse diverso dal proprio. La gestione dell'espansione della viticoltura in collina è un esempio avvilente di questa nouvelle vague.

Bisogna anche dire che già prima della crisi le cose non andavano benissimo. L'abitudine di utilizzare le risorse delle imprese per comprare ville, barche, bolidi, donne, politici e quant'altro non avesse niente a che fare con l'impresa, è sempre stata molto diffusa e trasversalmente praticata a destra come a sinistra, al nord, al centro e al sud.

Un altro limite intrinseco dell'impresa italiana è quello legato alla sacralità della famiglia ed alla incapacità di crescere dei rampolli all'altezza della situazione. Le imprese italiane normalmente non superano la terza generazione e quelle veronesi difficilmente ci arrivano. I ragazzini viziati e i giovani arroganti che spesso escono da queste famiglie non saranno mai in grado di prendersi delle responsabilità, di mettere a punto delle strategie complesse, di reggere saldamente il timone durante le tempeste che inevitabilmente si abbattono sulle imprese.

Negli ultimi 8 anni in provincia di Verona centinaia di imprese hanno chiuso i battenti per i più svariati motivi.

La grave crisi del settore edilizio è sicuramente dovuta a cause internazionali, ma anche alla cecità degli impresari, dei politici e dei banchieri nostrani, che non hanno capito per tempo che l'epoca dell'espansione edilizia illimitata era finita e che già nel 2008 si dovevano contingentare le nuove concessioni edilizie. Invece per anni i giornali locali hanno continuato ad inneggiare alle grandi iniziative proposte da politici, imprenditori e tecnici. Imprese quasi sempre fallite e talvolta mai partite.

Ieri la Bettina Campedelli ci ha ammannito su L'Arena il panorama completo delle imprese veronesi con numeri, classifiche, previsioni. Se si confronta l'inserto del 2015 con quello del 2014 sgorga incontenibile un sorriso, ma tutti sappiamo che i dati economici sono molto meno esatti di quanto si vorrebbe far credere.

Il dato incontrovertibile è che il sistema economico veronese si sta sbriciolando. La vicenda della Riello, acquistata la settimana scorsa dall'americana UTC, è emblematica di questa tendenza. Il grido di vittoria di Ettore Riello "Diventiamo grandi" suona stonato. La Riello aveva accumulato centinaia di milioni di debiti e le banche creditrici hanno "benedetto" l'acquisizione con una quarantina di milioni di abbuono sul conto debiti. 40 milioni che le stesse banche avrebbero potuto impiegare per finanziare nuovi investimenti.

Interi settori della nostra economia sono ancora in crisi profonda e vedono il futuro come un "buco nero in fondo al tram" (Io e te  Enzo Jannacci). Perfino il pompatissimo settore del vino arranca sia in termini di domanda che di redditività. Eppure il numero di ettari di terreno collinare trasformato in vigneto continua a crescere contro ogni logica e ripropone una prospettiva analoga a quella già sperimentata dal settore edile.

Dopo la caduta dell'impero romano i monasteri svolsero una importantissima funzione economica, gestendo immense proprietà e garantendo la sopravvivenza di intere regioni. Producevano beni di consumo e prodotti agricoli, gestivano ricche biblioteche, costruivano cattedrali, monasteri, strade, ponti, case. Il tutto utilizzando regole che non avevano niente a che fare con le norme basilari dell'economia moderna.

Ovviamente nessuno vuole riproporre quel tipo di economia, ma forse faremmo bene a capire che non esiste un unico tipo di economia e che sarebbe il caso di ripensare profondamente le basi della nostra economia, a partire dai concetti di responsabilità e di bene comune.

Foto: La torre di Babele, Pieter Bruegel

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