Serata molto interessante a Sant'Anna d'Alfaedo organizzata dal M5S, con la presenza del Professor Boitani dell'Università La Sapienza di Roma e Sonia Calderola dell'Unità di Progetto Caccia e Pesca della Regione del Veneto, in cui finalmente si è tentato di affrontare il conflitto lupo – allevatori dal verso giusto.

 

Boitani parte subito a braccio ricordando il professor Ruffo che gli parlava tanto della Lessinia, che non ebbe mai occasione di visitare prima di giovedì scorso.  "Mamma mia!" fu la sua prima reazione quando venne a sapere della presenza di un nuovo branco in un'area così antropizzata. Poi passa a illustrare, sempre in modo molto autorevole e intrigante, la storia della diffusione del lupo in Italia. Nel 1971 il WWF italiano gli aveva affidato il compito di quantificare e mappare la presenza del  lupo in Italia, di definire cioè lo status dell'animale. Lavoro nuovo ed improbo per un giovane laureato, che riuscì tuttavia a portarlo a termine. 104 individui fu il risultato finale, una stima che rappresentava un ordine di grandezza: i lupi con nuclei stabili non arrivavano più a nord dei Monti Sibillini (Marche).

Proprio negli anni 70 si verificarono i due eventi fondamentali per la ripresa del lupo: l'abbandono della montagna (particolarmente accentuato in Appennino) e la reintroduzione di daini, cinghiali, cervi, … Infatti nel 1971 questi animali erano praticamente estinti e il lupo, letteralmente, si nutriva di … "monnezza".

Inizia quindi una straordinaria espansione dell'animale, dovuta alla sua biologia: dalla primavera del secondo anno di vita, infatti, per ogni lupo comincia il processo di "dispersal" = dispersione.

1986 Genova: viene rinvenuto un giovane di lupo. In seguito ai lupi riesce di passare attraverso la strettoia Genova-Savona. 1992: prima coppia segnalata sulle Alpi, in Francia, nel Mercantour. Dopodiché i branchi si stabilizzano nelle Alpi Occidentali, particolarmente in Piemonte.

Segue poi la colonizzazione della Svizzera: un paio di anni fa un lupo "italiano"  (il passaporto viene determinato geneticamente) è stato investito a Bonn; due lupi fratelli, sempre del ceppo italiano, stanno nei dintorni di Barcellona. Slavc, del ceppo dinarico e Giulietta, di quello italiano, sono storia di questi giorni e testimoniano la straordinaria (dal punto di vista biologico) ricolonizzazione dell'arco alpino da est ad ovest.

Emblematiche le storie di lupi relativamente al fenomeno del "dispersal", tra tutte quella di  Ligabue che viene raccolto – ferito non grave – sulla tangenziale di Parma. Viene munito di radiocollare ed inizia un viaggio entusiasmante: dapprima torna nell'Appennino Tosco Emiliano, inverte poi di 180 gradi la marcia e finisce col sconfinare in Francia percorrendo la bellezza di 1200 km, arrivando a pochi kilometri dal porto di Nizza; morirà qualche tempo in uno scontro con un branco residente. In proposito, Boitani spiega che la mortalità conspecifica rappresenta la percentuale più elevata tra le cause di mortalità dei lupi (il bracconaggio detiene il 25%) e smentisce l'iconografia del lupo che porge la gola in segno di sottomissione. La storia di Ligabue ha avuto come effetto secondario quello di interrompere sui giornali d'Oltralpe le accuse a Boitani di reintrodurre artificialmente i lupi in Francia!

Il lupo dal punto di vista normativo: Boitani spiega che il lupo è protetto dalla legge 157;  è inoltre inserito nella direttiva Habitat a cui tuttavia può essere eccepita deroga. Tuttavia l'ottenimento dell'eccezione è molto complessa in quanto la UE richiede che siano stati prima messi in essere tutti i possibili metodi di coesistenza. La Francia esercita un controllo sui lupi (l'anno scorso la quota era di 24 lupi, nda): "questa misura può essere utile" – dice Boitani – "perché serve a far vedere che c'è la condivisione del problema; tuttavia la stessa la Francia mette a disposizione 3 milioni di euro all'anno per il monitoraggio. In Spagna in alcune regioni è ammesso l'abbattimento del lupo, in altre, come la Galizia, è protetto strettamente. Anche in Svezia, a fronte di una popolazione di 320 lupi, è ammesso il controllo:  ma in questo caso un intero Istituto lavora allo studio dell'animale e, in pratica, i lupi si conoscono per nome e cognome".

E veniamo al punto fondamentale della questione: il monitoraggio. Per la gestione, occorre sapere quanti e dove sono i lupi.  Servono cioè:



  • Buoni dati


  • Visione generale del problema




In Italia questo lavoro era stato fatto in maniera egregia dalla Regione Piemonte fino al cambio politico del 2010. Occorrono cioè dati completi e sempre aggiornati sul campo per decidere le più opportune misure di conservazione (es. conservazione modulare, … www.minambiente.it ...) e per far fronte a nuovi problemi come quello dell'ibridazione fra il cane e il lupo, ed altri.

In ogni caso la gestione del lupo deve avere sempre un'ottica interregionale come ha dimostrato la collaborazione tra Piemonte, Francia e Svizzera e, aggiungiamo, come sta cercando di succedere da noi in Lessinia, con il progetto Life Wolfalps.

Come ipotesi Boitani non esclude che la conservazione possa prevedere anche la rimozione se, tentate tutte le strade, la convivenza in una determinata regione risulta impossibile.

Questa eventualità ci riconnette all'altro punto fondamentale della questione, quella della prevenzione dei danni. Calderola si dilunga sugli aspetti burocratici; noi qui invece vogliamo riportare il pensiero del professore. L'Italia, dice, è famosa nel mondo per i suoi cani da pastore; però ve lo immaginate un maremmano-abruzzese alle prese con un branco di renne? Dio, non parlano neppure la stessa lingua! E poi il caso delle greggi in Maremma dove i pastori sono tutti sardi non abituati alla presenza dell'animale, visto che il lupo in Sardegna  non c'è mai stato.

Queste iperboli, questi esempi servono a Boitani per affermare che la prevenzione non può che essere sito-specifica, va adattata alle particolarità e alle esigenze di ciascun territorio.

A tal proposito si comincia ad evidenziare la necessità della presenza umana stabile nelle malghe lessiniche durante l'alpeggio. A questo proposito Gianmarco Lazzarin, esponente delle guide,  ha proposto che venga finanziato con i fondi del Progetto Lupo una sovvenzione specifica a favore dei malgari. Per le poche malghe (più o meno 4) in cui la presenza umana è costante giorno e notte durante tutto il periodo dell'alpeggio, vi è stata una singola predazione di un asino (peraltro animale che fatica a difendersi dai predatori). Parlando con numerosi allevatori, la misura che prevede un indennizzo a favore di chi decide di praticare l'alpeggio "old style" (per verificarne l'efficacia, già comunque confermata sia da Boitani che dalla Marucco) sarebbe ben accetta.

Aggiungiamo noi, raccogliendo proposte sentite in giro, che sarebbe auspicabile anche un graduale cambio delle razze bovine allevate in Lessinia: sostituire ad esempio la frisona, mucca da pianura, con razze che si sono evolute con i grandi predatori, come la bruna alpina. Ciò comporterebbe, assieme ad una gestione più oculata degli aspetti zootecnici, un minore rilascio di nitrati. A catena si avrebbe un minore inquinamento della falda, una evoluzione dei pascoli verso specie meno nitrofile ( i pascoli lessinici sono attualmente infestati da Deschampsia cespitosa), infine, aumentata la diversità botanica dei pascoli, si potrebbe assistere al ritorno della biodiversità presente un tempo (pensiamo solo alle farfalle).

In tutto ciò, gli ambientalisti cosa possono fare? Beh, sta circolando un questionario della Regione Veneto/Progetto Wolfalps in cui si chiede la disponibilità a partecipare al progetto: Questionario LWA esc e ass amb

Si potrebbero, ad esempio, organizzare turni nel periodo dell'alpeggio per dare una mano ai malgari per raccogliere il bestiame all'interno di recinti mobili; assicurare cioè una presenza umana stabile nel periodo che va da giugno a settembre, …

Le cose da fare sono tante. Proviamoci!

 

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