Torce ricaricabili che non si ricaricano. Dietro la truffa, la ricerca di una comoda scorciatoria per salvare la nostra coscienza e il nostro pianeta.

Il mio amico insisteva: "Guarda che è impossibile che una pila a led, una batteria ricaricabile al litio e una ricarica a manovella possano costare cinque euro". Io ero incredulo, possibile che mi vendano una torcia elettrica normale camuffata da ricaricabile? È possibile che la presa per i fondelli arrivi fino al punto di costringermi a muovere la manovella per niente, come un pirla, senza ricaricare la batteria?

Così ho preso una decisione drastica: ho lasciato accesa la pila fino al completo scaricamento. Ci sono voluti oltre tre giorni: quelle lampade a led consumano dannatamente poco.

Appena le lampade si sono spente, ho cominciato ad andare di manovella, per decine di secondi, poi per minuti, fino a sentire dolore al braccio. Niente, le lampadine non si sono più accese. Sono stato buggerato, e forse non è nemmeno la prima volta.

L'infido produttore conosce la legge del mercato: se propone una normale torcia elettrica sa che non gliela comprerà nessuno. Allora basta aggiungere un meccanismo di ricarica a molla, un volano, e voilà: ci sarà la fila per comprare la pila sostenibile. Un esercito di ecofighetti, io in testa, si intende.

Probabilità che ci accorgiamo della fregatura? Bassissima: le batterie hanno una notevole capacità, e i led consumano davvero poco. È probabile che le prime unità vendute qualche anno fa siano ancora in funzione, a meno che uno non l'abbia lasciata accesa un tot di tempo giorno e notte, naturalmente. Quando si saranno scaricate, probabilmente nessuno si ricorderà chi aveva comprato il prodotto, e per quale motivo. Molto probabilmente non esisterà più nemmeno la ditta produttrice.

Questa è solo una delle forme in cui si manifesta la sòla per l'ecofighetto: il mondo è pieno di gadget, soprattutto sotto Natale compaiono oggetti incredibili, come le lampade con (finti?) pannelli solari sul dorso, chiavette USB in legno, zainetti fotovoltaici, cravatte fatte con i nastri delle musicassette.

Questi aggeggi spesso costano parecchio, il più delle volte non funzionano, quasi sempre si rompono facilmente e hanno un impatto ecologico non commensurabile alla loro scarsissima utilità pratica. Eppure sono la nuova frontiera del gadget-business, una branca della scellerata green-economy che promette, senza alcuna possibilità, di salvare il pianeta.

Un'indagine sulle caratteristiche tecniche serve a poco, ognuno di noi può farlo con l'ecogadget che si è fatto rifilare. Magari qualcuno avrà anche la fortuna di constatare la bontà del suo acquisto (soprattutto, ahimè, se è stato pagato una follia). Ma, dal punto di vista socio-psicologico la sostanza è sempre la stessa: l'eco-gadget è figlio della falsa convinzione che salvare il pianeta sia facile e fico.

Se diamo retta ai numeri, noteremo che il nostro stile di vita non è sostenibile. L'impatto delle nostri abitudini su energia, aria, acqua, terra coltivabile e clima è così devastante che, se tutti gli abitanti della Terra lo seguissero, non basterebbero due pianeti a mantenerci.

Ma rinunciare alle comodità, alla vita facile a buon mercato non alletta nessuno. Così ci illudiamo di poterci salvare con gesti innocui, tipo chiudere l'acqua del rubinetto mentre ci spazzoliamo i denti, usare torce a manovella, illuminare il giardino con lampade solari, ma guai a toccarci l'auto in garage o ad abbassare la temperatura interna a 21 gradi nella nostra casa non coibentata.

Un comodo lavaggio di coscienza, che ricorda le raccolte della carta stagnola per comprare i cani per i ciechi, o dei codici a barre per le carrozzelle per i disabili. Pochi inutili gesti per sottrarsi alla responsabilità.

Se continuiamo a violentare la terra a questo ritmo, gli scenari più ottimisti ci vedranno alle prese con carenza alimentare, trasporti ridotti al lumicino, assenza di regole e instabilità sociale.

Ma la vita sarà più serena se avremo con noi il nostro zainetto fotovoltaico.

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