La sopravvalutazione dei vantaggi della tecnologia è una costante degli attivisti di tutte le epoche, quasi quanto la sottovalutazione degli aspetti negativi. Se si vuole dare senso ed efficacia all'azione politica contro il sistema dominante, è necessario liberarsi degli strumenti "spontaneamente" offerti dal sistema stesso.

 

"È tempo di aggiornare i nostri incubi."

Zeynep Tupefkci



twitterIl web 2.0: aspetti positivi

Quando in Italia si diffusero i cellulari, ci fu un periodo in cui le proteste in piazza erano organizzate e coordinate con il passaparola tramite sms. La modalità ebbe un breve ma significativo successo: era possibile convocare velocemente assembramenti, cortei, manifestazioni, abbastanza al riparo dalla forza pubblica. Addirittura ci fu qualcuno che parlò di "popolo degli sms", o di rivoluzione via cellulare.

Pochi anni dopo, di fronte ai moti della primavera araba (a proposito, è abbastanza triste vedere come è andata a finire più o meno ovunque) ci fu chi parlò di "popolo di twitter" o di rivoluzione via social media. La sopravvalutazione dei vantaggi della tecnologia è una costante degli attivisti di tutte le epoche, quasi quanto la sottovalutazione degli aspetti negativi.

Aldilà delle implicazioni su economia e riservatezza di cui abbiamo parlato, i social media sono uno dei fenomeni più sopravvalutati degli ultimi anni. A essi è stato attribuito ogni cambiamento politico e sociale, dalla primavera araba (appunto) alla nascita del Movimento 5 Stelle, da Occupy Wall Street alla deposizione di Berlusconi. La realtà è molto più prosaica: si tratta, nel migliore dei casi, di un giochino sciocco e autoreferenziale che coinvolge una frazione miserrima della popolazione attiva: quei fortunati che hanno del gran tempo da perdere, ma (ahiloro) non hanno niente di meglio da fare.

image_9701Quando esprimo questi concetti a un social-attivista, questi mi guarda stupefatto: "ma come? Sarebbe assurdo rinunciare a uno strumento così potente per propagandare le tue idee!" Già, sarebbe assurdo rinunciare: nessuno parla mai di risultati ottenuti, solo ci si domanda con sgomento come si potrebbe farne a meno. Ci sono tutti i sintomi della dipendenza.

Zeynep Tupefkci, studiosa di sociologia e tecnologia e docente universitaria, nel suo saggio "Internet è buono o cattivo? Sì", sostiene che il successo delle proteste di Gezi Park, avvenute tra il 28 e il 30 maggio 2013, sia dovuto in buona parte a Twitter: "quando i piccoli gruppi di manifestanti che cercavano di fermare i bulldozer mandati a sradicare gli alberi di Gezi Park sono stati attaccati con gas urticanti e le loro tende sono state bruciate, la gente lo ha saputo da Internet, non dalla televisione. Twitter non è una testata giornalistica tradizionale, non c'è un direttore che si possa corrompere o su cui fare pressione. Quando poi le persone sono diventate qualche centinaio e ad affrontarle c'era la polizia con i gas lacrimogeni e i cannoni ad acqua, ancora una volta la gente l'ha saputo dai social media. Così la protesta si è ingigantita e alla fine i manifestanti alle prese con la polizia nel centro della piazza più centrale della più grande città della Turchia son diventati decine di migliaia."

Vero e condivisibile. Il problema è che la professoressa Tupefkci, di nazionalità turca, e quindi molto vicina emotivamente a quanto avvenuto in piazza Taksim, ha omesso che Twitter è una compagnia privata, il cui titolare Jack Dorsey può farsi beffe delle pressioni ricevute da Erdogan, ma è molto più sensibile a quelle di Obama, della CIA e dell'NSA.

Il web 2.0: aspetti negativi

Mentre in Turchia un gigante dell'Internet aiuta (inconsapevolmente) i manifestanti, negli Stati Uniti altri giganti dell'Internet sono coinvolti nel vergognoso scandalo dell'NSA. "La sorveglianza, capillare e pervasiva, è reale," continua Tupefkci, "probabilmente è peggiore di quello che pensiamo e peggiora ogni giorno di più."

serveimageL'analisi di Zeynep Tupefkci spazia dalla politica all'economia, i capisaldi del sistema "democratico". I politici statunitensi raccolgono dati sugli elettori e li usano per confezionare messaggi su misura, per dire loro quello che vogliono sentirsi dire riguardo ai candidati e ai programmi e nascondere quello che potrebbe non piacere. Lo si è sempre fatto, probabilmente, ma nell'era del digitale è cambiata la potenza.

"Consideriamo a esempio il fatto che alcune persone, se messe di fronte a scenari preoccupanti, sono più propense a esprimere un voto conservatore: se il tuo profilo psicologico dovesse corrispondere a quel tipo di persona," prosegue Zeynep, "una campagna elettorale potrebbe trasmetterti un messaggio che fomenti le tue paure. Se la tua vicina è di sinistra, le si potrebbe comunicare che il candidato, pur conservatore, è attento a una tematica che lei ritiene molto importante e potrebbe enfatizzarla fino a dare l'impressione che sia uno dei temi chiave della campagna. Tutto diventa personalizzato, tutto diventa opaco: tu non vedi quello che vede lei, lei non vede quello che vedi tu." Quando questo sistema prenderà definitivamente piede, la vittoria elettorale di un candidato non sarà più questione di contenuti, ma solo di soldi spesi. È probabile che in Europa non si vada molto lontano da questa impostazione.

In economia le cose non vanno meglio, anzi. Nel 2012 il giornalista Charles Duhigg sul Times scrisse che una catena di grandi magazzini spesso riesce a capire se una delle proprie clienti è incinta, in genere entro le prime 20 settimane di gravidanza e sovente prima ancora che lei l'abbia detto a qualcuno. È un'informazione preziosa perché la nascita di un bambino è un momento di grandi cambiamenti nelle abitudini di consumo. Per chi vende certi prodotti si tratta di un'ottima occasione per conquistare un nuovo cliente. Pare che un padre, offeso per il fatto che la figlia adolescente ricevesse dei coupon di prodotti relativi alla gravidanza, abbia preteso le scuse del supermercato, e sia stato costretto a ritrattare poco dopo, alla scoperta che la figlia era davvero incinta. Il supermercato aveva scoperto la gravidanza della ragazza prima di lui, solamente analizzando il cambiamento delle sue abitudini.

Del resto è cosa nota che il meccanismo dei like di Facebook è un sistema architettato per profilare con estremo dettaglio gli utenti. Le manifestazioni di gradimento, oggi estese anche al di fuori del sito di facebook, sono minuziosamente raccolte e catalogate dal social media frivolo. Oggi esistono app in grado di mostrare che informazioni il social network è riuscito a ottenere su ciascun utente, anche relativamente a inclinazioni sessuali, appartenenza razziale e religiosa, idee politiche, tratti caratteriali, grado di intelligenza, di felicità, eventuale uso di sostanze stupefacenti, storia familiare, oltre naturalmente a età e genere. Secondo alcuni studi, l'analisi dei like si estende a livello dinamico, valutando i cambiamenti delle persone, per esempio sono in grado di evidenziare l'esordio di una depressione.

Interessante il fatto che questi algoritmi non fanno domande alle persone di cui hanno tracciato i profili, ma si limitano ad analizzare le briciole lasciate sulla tovaglia durante l'attività online. Impressionante, ma probabilmente ancora lontano per difetto dalla realtà: quello che viene a galla è probabilmente solo la punta dell'iceberg, visto che la maggior parte dei dati è di proprietà di aziende private che di certo non ci dicono cosa ne fanno.

https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/c/c7/Prism_slide_5.jpgIn conclusione, se si vuole dare senso ed efficacia all'azione politica contro il sistema dominante, è necessario liberarsi dagli strumenti "spontaneamente" offerti dal sistema stesso, che da un lato offrono servizi potenti e gratuiti, dall'altro forniscono alle autorità delicate informazioni su attivisti e strategie.

Un sito pubblico per fornire e ricevere notizie indipendenti, esenti da pressioni e censure, è un'operazione tecnicamente banale e, abbiamo visto, realizzabile immediatamente con un'architettura di tipo peer-to-peer crittografata.

Affidare a una corporation questo compito è stupido e pericoloso: può andar bene come a Gezi Park nel 2013 (solo perché Erdogan abita e opera lontano dalla California) ma può andare clamorosamente male.

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