La monografia di Chelidonio e Sommaruga analizza i muri a secco, urbani e non, come mappe geo-antropiche che ci rivelano la complessità evolutiva del paesaggio. Un studio che i docenti farebbero bene a riproporre in tutte le scuole superiori veronesi.

• Muri e marogne

I paesaggi veronesi (storici, urbani e non), sono spesso segnati da muri di recinzione o di confine, talvolta terrazzati a secco, detti in dialetto "marogne".  Tali strutture, se non intonacate, sono occasione di osservazione adatte a comprendere la struttura geo-antropica di ciascun luogo.  In particolare terrazzamenti collinari possono ricalcare modellamenti umani del paesaggio avviati già dai primi agricoltori preistorici: almeno dal Neolitico medio (seconda metà del V millennio a.C. circa) (1)  le comunità stanziatesi fra la riva sinistra dell'Adige e la montagna hanno progressivamente modellato i versanti. Ai primi insediamenti peri-fluviali (es. Quinzano, metà IV millennio a.C.)(AA.VV., 1990), seguì un'espansione agli ambienti collinari, sia lungo le dorsali che sui versanti pedemontani (2). Il fenomeno degli abitati su altura si completò nel II millennio a.C. con i cosiddetti "castellieri".  In quest'ultima fase si diffusero sia opere di terrazzamento che di murature perimetrali, come ben esemplificato sia nel "castelliere" de Le Guaite (S. Anna d'Alfaedo) sia nel sito di Monte Pipaldolo (presso Novaglie, in Valpantena).  Scavi recenti stanno evidenziando rilevanti strutture murarie anche nel sito di Dosso Folesani (S. Mauro di Saline/VR), riferibile preliminarmente all'antica e media età del Bronzo, fra il 1800 e il 15000 a.C. circa (Salzani, Piccoli, 2011). All'intensità tardo-preistorica e protostorica di questi insediamenti finì per sommarsi quella storica, dove terrazzamenti e relativi muri di sostegno si moltiplicarono fino a modellare completamente i versanti, impoveriti da millenni lavori agricoli e da dilavamenti erosivi e soliflussi, a stento contenuti dal riporto a monte annuale di terreni. Particolarmente esemplificativo è il micro-paesaggio della Rocca di Lugo(Grezzana) (fig. 1), modellato da fitti terrazzamenti storici, ma sede di insediamenti dal tardo Neolitico fino all'età del Ferro (AA.VV., 1990).

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Muri e marogne, fra paesaggi collinari e urbani

I muri di recinzione, urbani e non, chiamano in causa l'origine di un toponimo alto-medievale "brol" (o "bròlo"), tuttora diffuso nell'Italia settentrionale e derivato da un tardo latino (brogilus) e dal "broga" gallico con significato di "campo", ma affermatosi con valenza di orto-frutteto recintato. Ad esempio, ne è testimonianza urbana il "Piazza Broilo" (vicino al duomo, dove sorgeva un vasto giardino-frutteto dove già nel XII secolo esisteva la "Platea Broli".  Con la progressiva antropizzazione del paesaggio, laddove non bastavano più siepi o fossati come recinzioni, si edificarono muri (quasi sempre non intonacati) nome derivato dal latino murus, a sua volta connesso a "moenia" (cinta muraria di città) e al verbo "munire" (3). In ambito contadino i muri di terrazzamento, cioè di contenimento di versanti artificialmente modellati a ripiani (per migliorarne la coltivabilità e contenere il naturale dilavamento dei terreni) sono tuttora detti dialettalmente "marògne", murature a secco costruite prevalentemente con materiali locali spesso ricavati dallo spietramento dei versanti. Questo termine, citato già in un documento del 1184 ("una casa et marogna") (Bondardo, 1986), pare derivi da un arcaico "marra" che trova riscontri nel trentino maròk (es. le Marocche di Dro/TN, colline detritiche formate da frane post-glaciali) e nel  veronese "maròcolo", sasso duro. Definizioni, dunque, che aiutano a distinguere differenti tipologie "murarie" che si dipanano nel paesaggio fra città, collina e montagna.  Rispetto ai materiali utilizzati si possono distinguere almeno tre tipologie principali:

- da spietramento di superfici locali;

- da cave (collinari o di pianura fluviale);

- misto con reimpiego di materiali di origine antropica, sia manufatti, sia materiali naturali ma trasportati da zone più o meno distanti. Quest'ultimo tipo è stato molto incrementato nelle murature erette negli ultimi decenni, a causa dei crescenti trasporti motorizzati.

Dunque queste tipologie murarie raccontano sia il substrato geologico locale, sia l'evoluzione della gestione antropica del territorio.  Ne proponiamo un esempio in area collinare prossima alla città.

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Via S. Mattia

Questo tracciato storico collinare si snoda fra due muri, in continuazione di Via San Leonardo, che già nella mappa del catasto austriaco del "Comune Censuario di S. Stefano Extra" del 1844 univa l'allora "Strada Comunale della Gazzara" alla "Strada delle Pontàre per S. Leonardo" che continuava nella Strada Comunale di S. Mattia (fig. 2).



Detta ripida (il dialettale pontàre sta per "salite ripide") strada risulta confermata anche dalla cartografia austriaca del 1835 (Bozzetto, 1993), quando i forti S. Leonardo e Sofia(intitolato all'arciduchessa di Baviera) già esistevano (mentre quello di S. Mattia fu eretto nel 1843). Inoltre in una mappa militare veneta del 1632 sembra di potervi riconoscere il suddetto tracciato. Questa doppia muratura (fig. 3)rivela una tipologia da "strada di dorsale" in cui muri e "marogne" (come quella ancora in parte esistente a Monte Cucco, in Valpantena) avevano funzione di impedire che greggi ovine transumanti entrassero nei coltivi, cerealicoli o a orto-frutteto che fossero. Il substrato geologico della strada (fig. 2) è costituito da calcari marnosi della formazione rocciosa denominata Marne di Priabona(4), che  chiude la locale serie eocenica depostasi in ambiente marino tra 58,8 e 39,9 milioni di anni fa.  Le Marne (dal francese marne, di origine gallica), sono rocce sedimentarie clastiche formate da una mescolanza di calcari e argille: la formazione delle Marne di Priabona prende il nome dall'omonimo paese dei Lessini orientali, ove affiora la sua sezione classica.  Lungo la strada, i calcari marnosi affiorano alla base degli alti muri che racchiudono ampie proprietà agricole.  Salendo, i loro affioramenti si incontrano dapprima sul lato destro per poco più di un centinaio di metri, poi esclusivamente su quello sinistro, ove l'erosione subaerea ha messo in evidenza le stratificazioni delle rocce, alternativamente sporgenti o rientranti a seconda del loro minore o maggiore contenuto in argilla (fig. 4).

figInternamente ai calcari marnosi sono rinvenibili numerosi gusci di Nummuliti a guscio discoidale e frammenti di alghe calcaree, assieme a noduli di Limonite derivanti dall'ossidazione di marcasite (un bisolfuro di ferro).   La pavimentazione della strada ne evidenzia il mosaico geo-antropico (fig. 3 e 4): ciottoli arrotondati (diametro di circa10-15 cm.) di rocce metamorfiche, calcaree e di rossi porfidi, prelevati dalle ghiaie dell'Adige dove la corrente li ha trasportati a Verona dal Trentino-Alto Adige. La porzione centrale del piano di calpestio è invece occupata da una striscia (localmente detta "lasagna") (fig. 3) di lastre trachitiche (larghe circa 40 cm. per 1-2 metri di lunghezza) provenienti dalle cave dei Colli Euganei. La trachite è una roccia vulcanica e sub- vulcanica di colore grigio-marrone chiari, costituita da feldspato potassico (sanidino) e da plagioclasio sodico, con biotite e talora con scarsi anfiboli e pirosseni; nei Colli Euganei ha formato laccoliti e brevi colate eruttive.  Altra particolarità di questa pavimentazione sono le sottili lastre calcaree (litotipo della Scaglia Rossa): lunghe un metro e settanta e larghe 6,5 cm., sono disposte a "lisca di pesce" ai lati del nastro trachitico, ad intervalli di circa 5 metri e con vergenza verso il fondovalle. Tale disposizione non è solo un abbellimento del piano stradale, ma garantisce anche una migliore tenuta dei ciottoli messi in opera tra questa serie di intervalli.

Di provenienza più locale sono le pietre calcaree utilizzate per edificare i due muri che orlano la strada: quello di sinistra, salendo, è il più "povero" e meno robusto, perché costruito con conci di calcari marnosi priaboniani, gelivi ed erodibili, provenienti da piccole cave locali. Più rari sono i blocchi di calcari più duri, privi di stratificazione ed estratti da strati eocenici sottostanti alle Marne di Priabona, simili alla nota Pietra Gallina di Avesa.  Nel mosaico geo-antropico di Via S.Mattia non mancano pietre più alloctone, come rari conci di Scaglia Rossa probabilmente reimpiegati da più antiche costruzioni, specie nei tratti del muro che hanno subito crolli e rifacimenti.  

Il muro opposto, invece, si presenta più robusto e come probabile indicatore di maggior disponibilità degli antichi proprietari: è infatti costituito da conci calcarei duri (fig. 5), provenienti da cave anche lontane, prevalentemente aperte negli strati  eocenici soggiacenti le Marne di Priabona; mescolati ad essi, talora si rinvengono blocchi di limonite stratificata o massiva (fig. 6), uguali a quella un tempo estratta nella miniera del buso del féro di Novare.  Nell'insieme i conci calcarei contengono fossili di vari organismi che prosperavano nell'ambiente marino sub-tropicale eocenico: gusci (e modelli interni) di molluschi bivalvi, Lamellibranchi (fig.7) e Gasteropodi, nummuliti, alghe e persino coralli individuali (fig. 8). Nei muri non mancano, tuttavia, gli elementi in cotto e i ciottoli esotici: questi ultimi sono per lo più costituiti da porfidi atesini molto alterati (fig. 9) sino all'esfogliazione ed allo sfaldamento, a causa della lunga esposizione agli agenti atmosferici.   Il lungo muro è stato con tutta evidenza costruito in due/tre sequenze orizzontali sovrapposte e spesse più di un metro.  Al termine della strada, laddove essa giunge alla chiesetta di S.Mattia, alla base del muro è incastrato un piccolo vecchio cippo indicante la quota di metri 250 (l'attuale Carta Tecnica Regionale indica invece, per quel punto, circa 240 m s.l.m.).

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Considerazioni

La capacità di "leggere" il substrato geologico dei singoli paesaggi a partire da manufatti murari non  intonacati, anche in occasione di semplici itinerari urbani e non (abitualmente vissuti e proposti solo come "monumentali" o "ambientali/naturalistici"), è adatta ad incrementare significativamente la percezione e la corretta interpretazione della complessità paesaggistica, evidenziandone le componenti geologiche e geo-morfologiche in modo tale da condurre, fin dalla formazione (in età scolare) di "mappe cognitive" adeguate alla comprensione delle dinamiche evolutive (geologiche e antropiche) che hanno modellato i paesaggi. Mentre le mura urbane, per loro stessa natura, scandiscono cronologie sociali e le loro fasi tecno-costruttive (comprese le aree di approvvigionamento dei materiali litici e quindi, implicitamente, suggerendo elementi di controllo territoriale), i muri urbani e periferici aprono finestre interpretative proprio su quella parte del paesaggio che spesso non viene considerata, sia perché "sepolta" (es. le ghiaie alluvionali) o magari occultata da antichi utilizzi ambientali, come le cave aperte in aree peri-urbane e poi colmate da costruzioni o da altre trasformazioni antropiche  recenti. Infine, per orientare un tipo di valorizzazioni finora insolite nel veronese, si evidenza l'esistenza di modelli culturali particolarmente adatti allo scopo come:

- gli ecomusei (4) più orientati a letture etnografiche del paesaggio, pochi ancora in Veneto (n.5) e in Friuli (n. 4), ma in crescita nel Trentino/Alto Adige (n.8) e in Lombardia (n. 27), mentre in Piemonte sono più di 40. Risultando gli ecomusei finora non istituiti nella Provincia di Verona, si segnala interesse promozionale della Sezione di Verona di Italia Nostra (6), finora prevalentemente centrato, anche in modalità operative, sul Monte Baldo;

- l'Associazione Italiana Geologia & Turismo (7), che seleziona e promuove su scala nazionale i geo-siti (8) (luoghi di particolare interesse geologico), organizzandoli in itinerari (es.1 nel Veneto, 3 in Trentino, 1 in Lombardia, 6 in Piemonte, 9 in Emilia-Romagna, etc.).

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Bibliografia

-          AA.VV., 1990: Carta Archeologica del Veneto, vol. II, a cura di L.De Capuis et alii, Franco Cosimo Panini Editore, Modena.

-          AA.VV. 2002: Preistoria veronese. Contributi e aggiornamenti, a cura di A.Aspes, Menorie del Museo Civico di Storia Naturale di Verona, II° serie, Sezione Scienze dell'Uomo, n.5.

-          AA.VV. 2005: L'ambiente e i segni della memoria. Contenuti, metodi e strumenti, a cura di T.Braggion. G.Chelidonio e U.Poce, Carocci editore spa, Roma.

-          AA.VV. 2001: Il valore del territorio, a cura di M.Maggi, Umberto Allemandi & C., Torino.

-          Barfield L.H., Buteux S., 2002: The Rocca di Manerba: a late Neolithic fortified and terraced site in northern Italy, in "Antiquity", vol. 76, n. 293, pp. 621–622. 

-          Bondardo M., 1986: Dizionario etimologico del dialetto veronese, Centro di Formazione Professionale Grafica "San Zeno", Verona. 

-          Bozzetto L.V., 1993: Verona. La cinta magistrale asburgica, Cassa di Risparmio di Verona, Vicenza, Belluno e Ancona. 

-          Cavulli F., 2002: L'insediamento di Lugo di Grezzana, in "Preistoria veronese. Contributi e aggiornamenti", a cura di A.Aspes, Memorie del Museo Civico di Storia Naturale di Verona, II° serie, Sezione Scienze dell'Uomo, n.5, pp. 66-67.

-          Chelidonio G., Braggion T., 2005: Dal museo diffuso al museo-edificio. Percorso geostorico urbano nell'area di fondazione di Verona, in "L'ambiente e i segni della memoria. Contenuti, metodi e strumenti", a cura di T.Braggion. G.Chelidonio e U.Poce, Carocci editore spa, pp. 103-106, Roma.

-          Chelidonio G., Braggion T.( a cura di), 2005: Esplorare per conoscere. Schede di osservazione e analisi ambientale per la Scuola Secondaria di I e II grado, Carocci editore spa, Roma.

-          Chelidonio G., 2005: Gli ecomusei: orientare le scelte del turismo , in "L'ambiente e i segni della memoria. Contenuti, metodi e strumenti", a cura di T.Braggion. G.Chelidonio e U.Poce, Carocci editore spa, pp. 93-95, Roma.

-          Chelidonio G., 2005: Paesaggio come mosaico dell'evoluzione ambientale e culturale, in "L'ambiente e i segni della memoria. Contenuti, metodi e strumenti", a cura di T.Braggion. G.Chelidonio e U.Poce, Carocci editore spa, pp. 22-25, Roma.

-          Cocchi D., 2009: Preistoria, Quiedit, Verona.

-          Gregori L., 2006: La "memoria" geologico-geomorfologica in alcune città dell'Umbria e dintorni attraverso i materiali dell'antico edificato urbano, in "Il Quaternario", Italian Journal of Quaternary Sciences, vol. 19(2), pp. 267-276.

-          Salzani L., Piccoli G., 2011: Un villaggio dell'età del Bronzo nei Lessini collinari, in "La Lessinia ieri oggi domani", La Grafica Editrice, pp.73-78, Lavagno(VR).

Gli autori ringraziano il dott. Roberto Maggi (Soprintendenza della Liguria) e il dott. Simon Buteux dell'Università di Birmigham per i dati bibliografici forniti.

Note:

(1)   cioè dall'espansione dell'uso agro-pastorale successivo alle prime tracce di comunità stanziali (es. il sito di Lugo di Grezzana, databile fra il 5520 e il 5343 cal. B. C. (Cavulli, 2002),

(2)   Opere di vero e proprio terrazzamento di versante sono note per il sito di Rocca di Manerba, in cui si sono scoperti muri con queste funzioni risalenti al 4000 cal. B.C. (Barfield, Buteux, 2002) e relativi ad un insediamento riferibile alla cultura di Lagozza (tardo neolitico)(Cocchi, 2009).

(3)   anticamente "monìre" (www.etimo.it ...) cioè trincerare, difendere. I romani distinguevano "murus" da "paries" (muro di edificio) cioè parete (www.etimo.it ...)

(4)   it.wikipedia.org ...

(5)   www.ecomusei.net ...

(6)   www.italianostravr.it

(7)   www.geologiaeturismo.it

(8)   www.geologiaeturismo.it ...

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