Vediamo di capire come potrebbe apparire la nostra città dopo che il fumo del nuovo PAT si sarà dissolto.

Damiano Tommasi viene eletto nel giugno del 2022. Il 18 di luglio viene nominata la nuova Giunta: “Stiamo iniziando un percorso che ci porterà alla costruzione di una Verona diversa, quella che per anni abbiamo solo potuto immaginare”. Il 30 dicembre 2024 viene approvata dalla Giunta Comunale la bozza di Pat “che disegna la Verona del Futuro”. Dopo l’approvazione del Documento preliminare del PAT è partita la fase di concertazione. Il primo appuntamento si è tenuto il 25 gennaio 2025 nell’Aula Magna del Silos di Ponente, dove il documento è stato presentato alla cittadinanza. Sono seguiti diversi incontri nei quartieri, dove in buona sostanza è stato riproposto il piano e sono stati richiesti e ascoltati suggerimenti e pareri.

Ho partecipato ad alcuni di questi incontri e ne ho ricavato delle impressioni contrastanti.

Il nuovo PAT potrebbe anche disegnare la città perfetta, ma vedo due grossi rischi all’orizzonte.
1 - Il rischio che questa città perfetta resti sospesa nell’aria, cioè non sia calata nel groviglio di problematiche vecchie e nuove che attanaglia Verona.
2 – Il rischio che manchi una visione futuribile complessiva della nuova città che si vorrebbe pianificare.

Parto da un dato di fatto che tutti conoscono. Quasi tutti i più importanti poli attrattori di traffico sono localizzati nel centro storico di Verona: uffici pubblici, servizi sanitari, ospedale, scuole pubbliche e private, monumenti, eventi, ecc.
Sarebbe stato saggio dislocare in passato alcuni di questi attrattori fuori dal centro storico o addirittura fuori dalla tangenziale, così da indirizzare altrove parte del traffico che tutti i giorni gravita sul centro di Verona.

Si sono presentate due grandi occasioni nei decenni passati: il dislocamento dell’Ospedale di Borgo Trento nell’area del Seminario di San Massimo e la creazione del Polo Finanziario nell’area dei Magazzini Generali. Un destino crudele ha voluto che entrambi i progetti siano stati affossati da due esponenti di Forza Italia: Giancarlo Galan ha di fatto bloccato il trasferimento dell’Ospedale di Borgo Trento a San Massimo (come avrebbe voluto Paolo Zanotto) e Flavio Tosi (allora Lega, ma oggi FI) ha contribuito in maniera determinante all’affossamento del progetto del Polo Finanziario. La mancata realizzazione del Polo Finanziario ha pesantemente inficiato le potenzialità dell’intera area, come ha poi dimostrato l’esperienza fallimentare di EATALY.

Gli attuali pianificatori si ritrovano davanti l’antico problema irrisolto. Migliaia di veronesi sono costretti a penetrare tutti i giorni nel centro storico di Verona per andare a scuola, al lavoro, a curarsi, a pagare le tasse, a presentare pratiche, ecc.
Sapranno i nostri eroi affrontare il problema di petto o finiranno per ripiegare su espedienti di scarsa efficacia?

C’è poi una questione di cui non si parla e che invece è cruciale. Qualsiasi progetto, anche il miglior progetto concepito da mente umana, ha poi bisogno di un apparato normativo-tecnico-professionale-organizzativo, capace di portare a compimento il progetto.
Servono uffici, dirigenti, tecnici, impiegati, cronoprogrammi, monitoraggi. Serve preparazione professionale, continui aggiornamenti, capacità operativa, mezzi tecnici. Servono anche indicazioni precise e cogenti da parte degli amministratori pubblici.
Quanti progetti ben concepiti sono rimasti a marcire nei cassetti e nei depositi degli uffici comunali per carenza di personale, per incapacità professionale, per scarsità di mezzi o per nuove e diverse scelte politiche?

E veniamo alla questione forse più ostica. A che tipo di città stanno pensando i nostri amministratori?

La sensazione è che non ci sia un’idea precisa. Negli incontri pubblici si fa un gran parlare di tutto. Si sentono tante proposte, molte richieste, ogni consigliere comunale tenta di porre al centro dell’attenzione le problematiche di cui lui si sta occupando, Paolo Galuzzi da una parte e Nico Cattapan dell’altra tentano di fare sintesi e di riportare l’attenzione sull’impianto generale del PAT.

Quello che in molti stiamo notando è che esiste uno scollamento evidente fra questa attività di progettazione e la situazione concreta con cui i cittadini veronesi si stanno quotidianamente arrabattando.

Potrei fare numerosi esempi per spiegare quello che intendo dire, ma mi limito ad un unico tema, quello che conosco meglio perché me ne occupo quotidianamente.

Nel Comune di Verona ci sono un certo numero di aree protette, alcune ben definite e altre in via di definizione:
- Zona Speciale di Conservazione Val Galina e Progno Borago;
- Parco dell’Adige Nord e Sud;
- Parco delle Mura;
- Parco delle acque di Montorio;
- Parco delle Risorgive.

Queste aree sono state almeno in parte inserite nella nuova cartografia del PAT e questo è sicuramente un fatto positivo.
La sensazione generale però è che questo tema sia all’ultimo posto nella scala delle priorità di questa amministrazione. Negli ultimi due anni e mezzo i nostri tentativi di creare le condizioni per gestire al meglio queste aree si sono scontrati con una lunga serie di ostacoli e con una scarsissima collaborazione da parte degli uffici competenti. Anche quando abbiamo prospettato la possibilità di ottenere degli importanti finanziamenti regionali o europei per la gestione di queste aree, la reazione degli uffici è stata di sostanziale disinteresse, se non di opposizione.

A questo punto viene spontaneo farsi qualche domanda.
Che posto occupa la gestione di queste aree nella scala delle priorità della Giunta Tommasi?
Chi si occuperà di queste aree?
Quali uffici?
Con quale personale?
Con quali competenze?
Con quali programmi?

Riporto alcuni dati che ci possono aiutare a capire che le aree protette sono una importante risorsa anche economica e non un costo, come molti amministratori pubblici sembrano pensare.

“I parchi nazionali americani nel 2022 hanno generato 50,3 miliardi di dollari di produzione economica e 29 miliardi di dollari di valore aggiunto, grazie al flusso di visitatori. Questi dati provengono da un report del National Park Service e dimostrano che i parchi non sono solo fondamentali per l'ambiente, ma anche un motore importante per l'economia del Paese. 

Il report del National Park Service è dedicato agli effetti sulla spesa dei visitatori in queste aree nel 2022, in termini di contributi economici alle comunità locali, agli Stati e a livello nazionale.

Da quanto si legge, il sistema parchi nazionali ha ricevuto 312 milioni di visite ricreative (con un incremento del 5% rispetto al 2021). I visitatori dei parchi nazionali hanno speso circa 23,9 miliardi di dollari nelle regioni di passaggio locali (+16% rispetto al 2021). Il contributo stimato di questa spesa all’economia nazionale è stato di 378.400 posti di lavoro, 17,5 miliardi di dollari di reddito da lavoro, 29 miliardi di dollari di valore aggiunto e 50,3 miliardi di dollari di produzione economica. Se si vanno a guardare i benefici ottenuti dal settore alberghiero, esso ha registrato gli effetti diretti più elevati, con 9 miliardi di dollari di produzione economica che hanno contribuito direttamente a questo settore a livello nazionale. Il settore della ristorazione ha riscontrato un contributo diretto di 4,6 miliardi di dollari di produzione economica a questo settore a livello nazionale”.

In Europa non siamo così attenti a misurare il ritorno economico del sistema di parchi e aree protette, ma si registrino comunque dei dati interessanti.

“A livello economico un dato utile (sebbene sia del 2011) è fornito dalla Commissione Europea: si stima che ogni anno vi siano tra 1,2 e 2,2 miliardi di visitatori nei siti Natura 2000, generando benefici ricreativi per un valore compreso tra 5 e 9 miliardi di euro all’anno”.

Ai posteri l’ardua sentenza.

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