Mettendo a confronto diversi modelli matematici di previsione, i conti non tornano.

Qualche giorno fa nei media è stato dato molto risalto alla notizia che i nostri figli arriveranno all'età di cento anni (articolo pubblicato su "The Lancet"). Dopo essermi felicitato con mio figlio Lorenzo, ed avergli augurato che però non ci arrivi come la bisnonna (inferma da molti anni) o la quasi totalità di nonni e zii (nessuno morto di morte naturale), mi sono posto delle domande, che si possono così riassumere: all'interno di quale modello ("paradigma") scientifico e sociale è stata potuta concepire una simile previsione?". Concordando con Niels Bohr , "fare previsioni è difficile, soprattutto sul futuro", la risposta è semplice. I cento anni sono il prodotto della cultura scientifica, tecnocratica e a risorse infinite (economia della crescita continua) tipica del mondo occidentale in questo scorcio di XXI secolo.

Non è stato tenuto conto ad esempio che, se le cose proseguissero come adesso (con molti processi rappresentati da curve esponenziali, come la crescita demografica), solo fra cinquant'anni la popolazione umana del pianeta viaggerà tra i 9 e i 12 miliardi. E come saranno sfamate queste persone? A vedere mangiare mia nonna (inferma, 89 anni), a volte mi viene infatti da esclamare "Cassigo!"

Ma altri sono i dati che, nel fare la sua previsione, "The Lancet", avrebbe dovuto considerare. Sappiamo che nel mondo scientifico prevale in maniera schiacciante il riduzionismo sull'olismo, cioè è più facile spezzettare un problema (complesso) in sotto problemi e fare il compitino semplificato. In altre parole è molto difficile mettere assieme un pediatra con un climatologo. Vediamoli insieme allora, questi dati, che, lo facciamo notare, sono appunto "dati", cioè informazioni sullo stato di un sistema.

E' uscito recentemente uno studio su Nature (461, 24 September 2009, "A safe operating space for humanity"), a firma di autorevoli scienziati nel campo delle Scienze della Terra, in cui si afferma che tre dei nove problemi ambientali che stanno attualmente affliggendo l'umanità sono arrivati al punto di rottura.

In particolare il "climate change" (rappresentato dalle parti di CO2 per milione di particelle in atmosfera), la perdità di biodiversità (quantificata in numero di specie perse su milioni di specie viventi) il ciclo dell'azoto (la quantità in milioni di tonnellate di azoto estratte annualmente dall'atmosfera dall'umanità).

In successivi scritti cercherò di spiegare le complesse dinamiche che sottostanno a tali problemi.

Qui preme sottolineare che, una volta superato il limite, il funzionamento della Terra non sarà più come prima. E per tornare indietro non sarà sufficiente la bacchetta magica della Scienza, agitata dalla Politica (nei vari summit di Rio, Kioto, Copenhagen, …), dato che i sistemi in gioco hanno inerzie non concepibili dalla mente umana. Come esempio, si pensi solo che il DDT è stato bandito da una 40 d'anni nei paesi industrializzati, e lo si trova ancora nel grasso degli orsi al Polo Nord.

Quindi la tesi di Lancet si fa più traballante.

Per darle lo scossone definitivo, il numero di settembre de "Le Scienze" riporta un articolo a firma di Hall e Day Jr ("Rivedere i limiti della crescita", settembre 2009), sulle conseguenze del superamento del picco del petrolio. Ora, per alcuni autori, evidentemente non facenti parti della congrega sviluppista e a risorse infinite che purtroppo domina la scena economica (economisti alla Carlo Pelanda, tanto per intenderci), sembra che in un qualche imprecisato momento da qui al 2040, a scala globale, la domanda di petrolio supererà l'offerta. Sull'articolo vengono analizzate le conseguenze di tale sorpasso. Ovviamente, chi più sarà colpita sarà l'agricoltura (con le macchine di adesso è come se avessimo a disposizione, ognuno di noi, una quarantina di schiavi energetici).

In poche parole non sarà più possibile sfamarsi a scala industriale, come succede adesso.

A ciò si aggiunga che i nostri figli, a quel tempo, avranno perso qualsiasi nozione di autoproduzione di cibo. Avendo rinnegato, la cultura ufficiale, la cultura altra che invece inquadrava tali nozioni nella sua trasmissione di sapere.

Consapevole che "fare previsioni è difficile, soprattutto sul futuro" e di non voler allungare la vita a nessuno, io cercherò di dare a mio figlio, che adesso ha 1 anno e mezzo, quelle nozioni che in tempi difficili gli potranno essere di una qualche utilità: il riconoscimento di piante e funghi, sapere dove ci sono sorgenti di acqua, …, far crescere una pianta. Ovviamente, per quanto ne posso sapere.

Questa è l'autentica e unica trasmissione di cultura.

Speriamo che io me la cavo, ma soprattutto di essere ancora in tempo! Poiché, man mano che i sistemi della biosfera si stanno disgregando e le risorse stanno venendo sempre meno, esso si sta accorciando sempre di più.

Michele Dall'O'

5/10/2009

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