Il regime ci nasconde la verità, per un superiore interesse pubblico.  E ci ha convinti tutti ad adottare lo stesso sistema, per non istigare comportamenti disdicevoli. Ma è esattamente così che si inizia a perdere democrazia.

A me Andrea Bocelli non è mai piaciuto. La sua voce non mi entusiasma, e le sue performance, peraltro eseguite con microfoni e amplificatori (orrore per un tenore lirico) mi sembrano piuttosto scolastiche. Per non parlare poi della sua "Nessun dorma", tratta dalla Turandot di Puccini, divenuta la sigla iniziale dei comizi della Lega, partito per cui, evidentemente, simpatizza.

Eppure, vederlo alla gogna, la settimana scorsa, per aver contravvenuto alla sacralità dell'allarme COVID, mi ha fatto un po' di rabbia e di tristezza. Di quale infamia si sarebbe macchiato il tenore? Semplicemente di essere intervenuto al discutibile convegno "COVID-19 in Italia: tra informazione, scienza e diritti", organizzato dal discutibilissimo Vittorio Sgarbi, evento al centro di polemiche tra gli scienziati più prudenti, quelli che ispirano le scelte del governo Conte.

Bocelli avrebbe manifestato "qualche dubbio su questa cosiddetta pandemia", e confessato "di aver anche in certi casi disobbedito volontariamente al lockdown, perché non [gli] sembrava né giusto, né salutare". Francamente, non ravviso in queste parole la necessità delle pubbliche scuse, richieste (e prontamente ottenute) a Bocelli. Non vedo alcuna offesa ai morti e ai malati, nell'affermare che questa pandemia ha avuto (finora) effetti limitati. Letali talvolta, spesso spaventosi, ma limitati. 

Ancora il tenore: "conosco un sacco di gente, ma non ho mai conosciuto nessuno che sia andato in terapia intensiva". Anche queste parole hanno suscitato scandalo. Eppure, pur non avendo un valore propriamente scientifico, hanno espresso secondo me un concetto assai intuitivo, che le cifre non rivelano a sufficienza: quanti sono stati i ricoverati per COVID in terapia intensiva? Quattromila o giù di lì, al massimo, a inizio aprile. Quanti in totale? Non sono riuscito a trovare una cifra, ma il totale dei positivi al tampone è 250.000, come si desume dal sito della Protezione Civile. Diviso 60 milioni, fa 0,004%, quattro su mille. E non stiamo parlando di terapie intensive, ma di 'positivi' al tampone. Non si tratta nemmeno del numero degli ospedalizzati, che è di molto inferiore.

Le cifre dunque dicono che 4 persone su mille si sono ammalate di COVID, una frazione minima dei quali è stata ospedalizzata, e una frazione minima della frazione minima ha dovuto sottoporsi alla terapia intensiva. Per cui è molto probabile che una persona non conosca nessuno che abbia subito questo impegnativo trattamento, come dice giustamente Bocelli di sè. Questo significano le cifre della pandemia in Italia, e quelle in ambito mondiale sono poco diverse, come dal sito della Johns Hopkins University (ricordarsi di dividere tutte queste cifre per 7 miliardi e mezzo).

Ma la colpa maggiore attribuita a Bocelli, da parte della stampa allineata, è stata quella di aver partecipato al "convegno di negazionisti" (sic). Contro gli stessi negazionisti si è poi scagliato, pochi giorni dopo, il presidente Mattarella (vedi Huffington Post). Cosa mai avranno detto di terribile, questi felloni?

È bastata una lettura degli articoli di regime, sul convegno, per farmi un'idea. Mi aspettavo affermazioni roboanti sull'inesistente pericolosità del morbo. Invece, pare che nessuno dei presenti abbia messo in discussione il fatto che il COVID sia (stato) un affare dannatamente serio, che abbia provocato (e provocherà) un alto numero di vittime.

Un'altra cosa che mi aspettavo era la teoria del complotto. Nisba anche qui. Questo significa che per tutte quelle persone, è assolutamente improbabile, o comunque non provato, che il COVID sia stato provocato intenzionalmente da qualche organizzazione per scopi politici, commerciali o militari.

Detto questo, vediamo cosa si evince da quanto è stato detto, dagli scienziati invitati al convegno di Sgarbi:

1. Il COVID è (stato) un pericolo a causa della sua possibile diffusione esponenziale. La pandemia avrebbe potuto degenerare se, come localmente avvenuto, avesse portato al collasso il sistema sanitario, e quindi le difese che la società ha eretto contro queste (e altre) eventualità;

2. In alcuni momenti, e soprattutto in alcune località piuttosto circoscritte, il pericolo di far collassare queste strutture è stato reale, ed è quindi stato giusto prendere misure drastiche. Fino a che punto drastiche? Qui si può discutere. Fino a che punto è stato opportuno estenderle a tutto il territorio nazionale? Qui si può discutere ancora di più;

3. La colpa maggiore di questa situazione è della politica, rea in primis di aver abbassato drasticamente il livello della sanità pubblica, in secundis di averlo centralizzato in mega-ospedali, veicoli ideali di diffusione virale, avendo affossato colpevolmente la medicina di territorio, fatta prevalentemente di cure a domicilio. In tertiis, rea di una serie di vaccate enormi, attuate soprattutto in Lombardia. È quindi intellettualmente disonesto incolpare lo jogging, la movida, e in generale i comportamenti poco disciplinati di una popolazione non adeguatamente informata;

4. La fase di pericolo appare di gran lunga superata, nel senso che il numero di casi è ancora sensibile (anche se sotto controllo), ma la virulenza del morbo è molto bassa;

5. È comunque impossibile aspettarci una costanza di curve in discesa, perché questo non avviene nemmeno con malattie diverse dal COVID, soggette anch'esse a fluttuazioni e picchi stagionali, anche su livelli non preoccupanti;

6. Appellarci a queste fluttuazioni irrisorie (come i morti che passano da 6 a 15 in un giorno, o i contagi da 200 a 300) per portare panico, è eticamente discutibile, e quantomeno sospetto. Soprattutto in un paese con l'economia già messa a dura prova, con settori come il turismo che non sappiamo se potranno risollevarsi mai;

7. Una eventuale (anzi, quasi certa) ripresa di virulenza del morbo, potrà essere affrontata con successo dalla medicina di territorio di cui sopra, utilizzando tempestivamente farmaci poco costosi e disponibili in abbondanza.

Si può essere o meno d'accordo con queste affermazioni (io sostanzialmente lo sono, per quanto possa importare). Ma di sicuro, non si può bollarle come affermazioni deliberatamente false, né pericolose. Chi le ha espresse, non merita l'appellativo di negazionista.

Etichettare un'opinione, senza andare a fondo, è un esercizio alquanto offensivo. Ma se a dare quest'etichetta sono politici di alto livello o un'informazione potente e allineata, poco avvezza a dare diritto di replica, allora ci si deve preoccupare anche per la democrazia.

Perché mai tutta questa potenza di fuoco utilizzata per sopprimere i legittimi dubbi sul COVID? Le ipotesi sono molte. C'è sicuramente il sospetto di interessi economici dei produttori del vaccino, visto ormai come unica salvezza da questo virus. C'è l'ansia dei politici al potere di giutificare sé stessi nell'aver dato ascolto a quella parte di scienza molto prudente (o molto vicina ai produttori dei vaccini di cui sopra).

C'è pure la sottile ebbrezza che dà il potere, una volta conquistato, e la desolazione di vederselo sfuggire una volta superata l'emergenza. Ricordiamo tutti che Conte, prima del virus, era dato per spacciato nei sondaggi, alle prese con una maggioranza debole e divisa, e con un'opposizione gagliarda e cafona. Oggi sembra il re del mondo.

Ma il motivo più irritante è lo sdoganamento dell'uso dell'informazione con un intento educativo. Sembra un fatto assodato che un'affermazione non debba essere valutata a seconda che sia vera o falsa, ma per l'effetto che ha sulle persone. Non è importante la verità, ma la possibile conseguenza della notizia. Meglio dire il falso, piuttosto che dare speranze fallaci o istigare comportamenti disdicevoli.

È inutile spiegare quanto sia pericoloso un atteggiamento simile, che permetterebbe di giustificare qualunque menzogna, per un qualunque motivo di interesse pubblico. Mai come ora, in un momento politico assai fluido e instabile, è importante rimanere aggrappati all'onestà intellettuale e alla verità.

Cari amici al potere: permetteteci di dubitare e dissentire. E non chiamateci negazionisti. Non ne avete il diritto.

 

 

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