Non finiremo per cadere in un buco nero?

L’operazione matematica della divisione è sempre eseguibile, a parte un unico caso: la divisione per zero. Non è infatti possibile dividere un numero per zero.

Questa impossibilità è stata in parte “aggirata” con un artificio concettuale. Abbiamo osservato che, man mano che il divisore si avvicina allo zero, il risultato della divisione cresce enormemente. In base a questa considerazione, si è stabilito che se il divisore fosse zero, il risultato della divisione sarebbe grandissimo, tenderebbe all’INFINITO.  Da qui si è deciso di chiamare SINGOLARITÀ ogni situazione che presenti questa caratteristica. Vediamo quindi perché il buco nero viene considerato una singolarità.

Quando una stella molto massiccia, al termine della sua vita, esaurisce il carburante necessario alle reazioni nucleari che la alimentano, entrano in gioco due forze che, in una stella ancora giovane, si equilibrano perfettamente.

Le due forze sono:
• la gravità, che richiama ogni oggetto verso il centro,
• la pressione verso l’esterno dovuta all’energia liberata dalle fusioni nucleari, detta “pressione di radiazione”.

La materia espulsa dal Sole, ad esempio, è composta da elettroni, protoni e atomi di elio. Questo fenomeno, chiamato vento solare, è in genere normale e si manifesta sulla Terra con le aurore boreali. Talvolta, però, il vento solare diventa una vera e propria tempesta capace di disturbare le telecomunicazioni.

Quando la stella giunge alla fine della sua vita, la pressione verso l’esterno non è più sufficiente a contrastare la gravità. Quest’ultima prevale e tutto collassa verso il nucleo, riducendo il volume dell’intera stella a quello del suo centro. Abbiamo così una massa enorme concentrata in un punto piccolissimo, quasi nullo: ecco il concetto di “zero” applicato all’astro.

È difficile concepire una stella migliaia di volte più grande del Sole compressa in un punto di volume praticamente nullo.
In questa condizione si genera una gravità talmente intensa che qualsiasi cosa – sia materia che radiazione (anche la luce) – viene irrimediabilmente attratta verso il centro.

Per visualizzare meglio il fenomeno, immaginiamo il buco nero come un gigantesco gorgo nello spazio, analogo a quelli che si formano nei liquidi. La materia (inclusa la luce, costituita da fotoni) che vi si avvicina compie orbite sempre più strette e veloci.
Il percorso della materia viene descritto attraverso un nuovo concetto fisico: lo spazio-tempo, che unisce lo spazio percorso e il tempo impiegato a percorrerlo.

Einstein introdusse questo concetto nella teoria della relatività. Secondo la sua teoria, ampiamente confermata, la nostra realtà non è semplicemente tridimensionale (altezza, larghezza, profondità), ma in condizioni di gravità estrema anche il tempo entra in gioco.

Per spiegare la deformazione dello spazio, Einstein fece l’esempio di un pallone molto pesante appoggiato su una rete elastica: senza peso, la rete è piatta; con il peso, si incurva. Così, lo spazio si deforma. Se prima il percorso da A a B era rettilineo, ora diventa arcuato.

Anche il tempo si comporta in modo analogo: in condizioni normali scorre regolare, ma in presenza di forti campi gravitazionali varia. Questo è stato dimostrato con l’esperimento delle due sveglie: una sulla Terra, l’altra in orbita. L’orologio sulla Terra, dove la gravità è maggiore, va più veloce rispetto a quello in orbita, dove la gravità è minore. È il famoso paradosso dei gemelli: il gemello sulla Terra risulta più vecchio di quello nello spazio.

Per questo, nelle misurazioni fisiche avanzate, bisogna considerare sia la variazione dello spazio sia quella del tempo: lo spazio-tempo diventa così la vera grandezza da analizzare.

Torniamo al buco nero. La sua parte più affascinante è la superficie che lo circonda, detta Orizzonte degli Eventi.
Oltre questa soglia, la velocità di fuga è pari a quella della luce, che quindi non può più uscire: diventa impossibile osservare cosa accade all’interno.

La gravità, qui, è così intensa da deformare sia lo spazio che il tempo. Gli orologi vicini all’Orizzonte degli Eventi scorrono più lentamente rispetto a quelli lontani: il tempo rallenta e lo spazio si dilata.

In sintesi: un oggetto che cade verso un buco nero, visto dall’esterno, appare sempre più lento e impiega un tempo “infinito” ad attraversare l’Orizzonte degli Eventi. È come se lo spazio si allungasse e il tempo si contraesse: un diverso rapporto di spazio-tempo governa questa regione estrema. La recente fotografia di un buco nero non mostra infatti il buco in sé (che non può essere visto), ma la radiazione proveniente dalla materia circostante, riscaldata ed emessa negli ultimi vorticosi giri prima di cadere all’interno.

Ma cosa accadrebbe se fosse possibile “uscire” da un buco nero? Le teorie ipotizzano che ci si potrebbe ritrovare in regioni spaziotemporali totalmente diverse dalle nostre, o addirittura in altri universi con leggi fisiche differenti.

Einstein e Rosen ipotizzarono i cosiddetti wormhole (ponti o cunicoli spazio-temporali), capaci di collegare universi paralleli o addirittura epoche diverse: tunnel verso il passato o il futuro. Tuttavia, queste ipotesi aprono una serie di paradossi ancora irrisolti.

La fisica classica non è più sufficiente per spiegare i buchi neri: occorre la fisica quantistica, oggi considerata la più promettente per affrontare queste sfide.

Stephen Hawking, ad esempio, ha dimostrato che qualcosa può effettivamente sfuggire da un buco nero. Nel 1974 formulò la teoria della radiazione di Hawking, secondo cui il buco nero emette radiazione termica a causa di effetti quantistici. Questa emissione comporterebbe una progressiva perdita di massa e, col tempo, l’evaporazione del buco nero stesso.

Tutto ciò dimostra una verità fondamentale della scienza: non esistono verità assolute. Ogni teoria è valida finché non ne arriva una più precisa e completa.