Un po' di chiarezza su uno dei problemi più insidiosi del nostro territorio, e non solo di quello. Nostra intervista a Mario Spezia, redattore di Veramente e Presidente dell’associazione il Carpino.

Come sono arrivati i cinghiali nella nostra provincia?

I cinghiali che infestano attualmente il nostro territorio non sono quelli endemici nella nostra penisola, ma sono stati importati dai paesi dell'est europeo e poi introdotti illegalmente dai cacciatori e dai gestori di alcune riserve di caccia, creando gravi squilibri nella difficile gestione delle aree coltivate e di quelle protette. Ci sono prove inoppugnabili di questo comportamento irresponsabile, messo ripetutamente in atto dai cacciatori a partire dagli anni 60/70 del secolo scorso in varie zone della nostra provincia. E’ stata anche verificata la presenza di individui che sono il risultato di incroci plurimi tra il cinghiale (Sus scrofa scrofa) e il maiale (Sus scrofa domesticus).

Che danni provocano i cinghiali alla biodiversità?

La presenza di questi cinghiali "modificati", con taglia e prolificità aumentate rispetto alla specie endemica, ha creato seri problemi in Lessinia, in Val d'Adige, sul Monte Baldo e in tutta l’area collinare. Ormai non c'è mq di suolo che non sia stato rivoltato dai cinghiali. Boschi, prati e vai vengono letteralmente messi sotto sopra dalle zanne di questi ungulati. L’Hortus Europae si sta trasformando in un allevamento di cinghiali allo stato brado, con tutte le conseguenze che è facile immaginare per gli habitat e per le numerose e particolarissime specie vegetali e animali presenti sul Monte Baldo.
I cinghiali infatti prediligono i bulbi delle orchidee spontanee e delle liliaceae. Sono stati documentati numerosi casi di grave danneggiamento e anche di totale distruzione di siti popolati dalle orchidee. Anche noi abbiamo potuto osservare sulle colline di Verona la sparizione da un giorno all'altro di piante di orchidee in piena fioritura.

La situazione è più grave in montagna o in collina?

Il decoticamento dei pascoli su aree molto estese ha provocato una serie di problemi piuttosto gravi, anche di natura idrogeologica: impoverimento dei pascoli, perdita del cotico erboso, smottamenti. Questo tipo di danni è stato mitigato negli ultimi anni dalla presenza dei lupi, che hanno progressivamente spinto i cinghiali nei vai più profondi di montagna e verso la zona collinare.
Ovviamente questo spostamento verso sud dei cinghiali ha aumentato i problemi nelle coltivazioni collinari, soprattutto vigneti e uliveti, dove i cinghiali arrivano a distruggere i nuovi impianti e a depredare i raccolti, specialmente dove la vite è coltivata a guyot. La presenza di cinghiali di grosse dimensioni nelle immediate vicinanze delle case desta poi notevole preoccupazione nelle persone che vivono in abitazioni o contrade isolate.

Che rapporto c’è tra cinghiali e lupi?

Il cinghiale è la preda preferita dal lupo. Dove ci sono i cinghiali prima o dopo arrivano i lupi. Lo abbiamo visto in montagna, in collina e adesso anche in pianura. Tanti cinghiali vuol dire tanti lupi, pochi cinghiali vuol dire poche lupi. Possiamo tranquillamente dire che il contenimento dei cinghiali è il sistema più efficace per contenere anche i lupi, a meno che gli allevatori locali non rendano troppo facile la predazione di ovini e bovini rifiutandosi di utilizzare per anni qualsiasi sistema di dissuasione. Il lupo grigio è il principale predatore del cinghiale in buona parte del suo areale. Un singolo lupo può uccidere circa 50-80 cinghiali all’anno (Heptner et al., 1988). In Italia e nel Parco Nazionale bielorusso di Belovezhskaya Pushcha, i cinghiali sono le prede primarie dei lupi (Marsan & Mattioli, 2013).

La caccia è in grado di risolvere il problema?

Di fronte ad una situazione così grave la Regione Veneto non ha fino ad ora saputo mettere in campo degli interventi capaci di arrestare l’espansione incontrollata dei cinghiali. Si può anzi affermare che la Regione Veneto ha fatto un errore clamoroso quando ha declassato il cinghiale da specie protetta a specie cacciabile, incentivando di fatto le immissioni abusive in tutta la provincia e provocando un aumento esponenziale del numero di cinghiali.
La decisione della Regione Veneto di delegare ai cacciatori il compito di controllare il numero dei cinghiali presenti sul territorio si è rivelata fallimentare e non poteva essere diversamente. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: il numero dei cinghiali è in continuo aumento e i danni sono sempre più consistenti. I cacciatori sono la causa, non la soluzione del problema. Ovviamente badano ad allargare sempre di più il loro spazio di azione e badano anche al loro interesse economico, mentre non vedono di buon occhio gli interventi che puntano a porre fine al problema.
Nei boschi ci sono prove evidenti dell’abitudine di alcuni cacciatori di pasturare determinate zone in cui poi sanno di poter trovare facili prede da cacciare. Si configura quindi una forma di allevamento gestito dai cacciatori sui terreni altrui con un profitto che non è indifferente.

Cosa si dovrebbe fare?

L’assessore Corazzari ammette che “la Regione Veneto paga centinaia di migliaia di euro per ristorare i danni causati ai privati dai cinghiali, compresi quelli dell’infortunistica stradale”. Si dovrebbero spendere questi soldi per evitare i danni e non per risarcirli. I problemi sono tutti risolvibili quando c’è la volontà di risolverli. La Regione, la Provincia e i Carabinieri Forestali hanno il personale e i mezzi tecnici per mettere in cantiere dei piani di contenimento o di eradicazione efficaci. Quella che manca è la volontà politica di risolvere il problema.

Un efficace piano di controllo dovrebbe prevedere una serie di interventi in cui anche i cacciatori potrebbero avere un ruolo, meglio se sotto il controllo della polizia forestale, ma non il ruolo principale.

Si dovrebbero coinvolgere prima di tutto i proprietari dei fondi infestati dai cinghiali, che hanno tutto l’interesse a liberare le loro proprietà dai cinghiali. I chiusini, i metodi di cattura e di smaltimento delle carcasse, la catena di vendita e di stoccaggio delle carni, i punti di smaltimento, i risarcimenti, la sterilizzazione delle femmine, l’assistenza sanitaria, ecc. dovrebbero rientrare in un piano generale con obbiettivi precisi e con verifiche puntuali dei risultati. Ci saranno dei costi, ma i costi dei danni sono molto più alti.
Oppure possiamo continuare ad utilizzare il problema per fare campagna elettorale, ma poi dovremo fare i conti con la peste suina, con il divieto totale di frequentazione delle aree interessate dai cinghiali infetti e con gli ordini di macellazione di tutti i maiali presenti nelle zone infettate dalla peste, come sta già avvenendo in Liguria e Piemonte.