La prima immagine nella mia mente viene da un Intrepido del 73 o 74: Pietro Mennea nel salotto con i genitori, il padre dai capelli di argento, sorridente, che tiene al guinzaglio un cane di grossa taglia. Già durante le corse negli intervalli alle elementari di Cà di David avevo deciso che sarei diventato come Mennea.

1979 Stadio Comunale di Torino, Coppa Europa di Atletica. Mi intrufolo negli spogliatoi. E' un giorno nero per l'atletica italiana: Sara Simeoni seconda dietro Rosemarie Ackermann e Pietro Mennea, favorito nei 200, secondo dietro Allan Wells, lo scozzese. Allan Wells, Marian Woronin, Harald Schmidt e Marita Koch mi fanno l'autografo. Mennea esce imbufalito dal retro con il borsone, gli corro dietro, lui mi scansa, scorbutico e incazzato con tutti; niente autografo, maledizione, quello a cui tenevo più di tutti … Qualche mese dopo l'esplosione a Città del Messico, 19.72, che per quanto in altura, era stata ribadita da mirabolanti prestazioni a livello del mare. Comincio a crescere anch'io come velocista: è il 1980 l'anno delle Olimpiadi del boicottaggio USA. Sono al Bentegodi che mi sto allenando, manca poco all'ora fatidica. Indossando le scarpette chiodate corro con il cuore in gola alla Pizzeria Olimpia, davanti alla tv: dapprima la delusione all'uscita della curva, poi la resurrezione, la rimonta su Wells e il tripudio finale. Campione olimpico! Come se avessi vinto io.

Mennea smette, io sto andando fortino. Nel 1983 la Leggenda riprende. Meeting al Bentegodi: stavolta l'incazzato sono io che non mi fanno gareggiare insieme al mito. I miei genitori lo vedono in via Mazzini. Lo salutano e lui, contento, ricambia. Sempre 1983, Palio della Quercia a Rovereto. Non c'è verso di incrociare la Freccia: lui è nell'altra batteria, io gareggio con un'altra leggenda, ormai in disarmo, Steve Riddick, che alla fine mi farà i complimenti. Olimpico, Roma , 1984 Campionati Italiani di Atletica Leggera. Io sono in seconda batteria, 8 corsia. Pietro Paolo in terza batteria, ottava corsia. Gustoso siparietto: Pietro lancia i pantaloncini verso i miei blocchi di partenza. Mi volto e gli faccio, in dialetto: "Piero (sempre nervoso) sta calmo, che tanto te vinsi stesso!" Io, non troppo emozionato davanti a 30000 persone, faccio una curva da manuale; finito il decalage, ai 150 con la coda dell'occhio sinistro controllo la situazione e … godo! Ma al rush finale risulto quinto al fotofinish: 21"91. Per 17 maledetti centesimi non vado in finale con Pietruzzo che, ovviamente, vincerà gli ennesimi campionati italiani.

Da lì inizierà la mia "parabola", con un paio di infortuni che mi metteranno definitivamente ko. Causati, seppur indirettamente, da Pietro Paolo. Infatti a inizio anni 80 circolavano per i campi di atletica i famigerati quaderni tecnici che illustravano le metodologie di allenamento del Professo' Vittori, applicate a Mennea. Noi velocisti cadevamo come le mosche sotto gli squat da 150 kg e i lattacidi (ripetute di 150, 200, 300 con poco recupero) da vomito. Perché solo uno, la Freccia del Sud, era resistito, come un monaco, nel monastero di Formia a tali privazioni del fisico e dell'anima. Passano gli anni, seguo la vicenda di Mennea su internet. Non mi stupiscono le sue quattro lauree, dato il carattere. Lo contatto via mail, ringraziandolo per quanto ha rappresentato per me da giovane e per tutto quello che ha fatto, non solo come sportivo. Mi risponde, facendomi felice.

… Negli ultimi mesi sono passato spesso, per lavoro, da Barletta. E il pensiero, immancabilmente,  andava alla Freccia del Sud. Domani non ritornerò a casa per l'Adriatica,  ma da Roma. Una doverosa sosta al Foro Italico, teatro di epiche disfide sul tartan, per omaggiare le spoglie della Leggenda.