L' osso occipitale rinvenuto nel 1938 nella Cava Vecchia di Ca' Rotta (Avesa), datato all' interglaciale Riss-Wurm (120.000- 80.000 anni fa). La datazione è stata attribuita dal British Museum di Storia Naturale di Londra nel "Catalogue of fossil hominids", edito nel 1971.

 

 

   Qualche mese fa, forse per un buon amarone bevuto la sera prima parlando dei possibili ed irreversibili effetti che il "traforo delle Torricelle" potrebbe produrre, ho sognato enormi ruspe che aprivano un'ampia trincea in Valpantena, facendo affiorare sabbie e ghiaie dell'Adige antico e scoprendo  fondamenta di ville rustiche romane. Mano a mano che lo scavo procedeva verso la collina affiorava una complessa stratigrafia di argille rosse alternate a livelli bruno-nerastri. E da quegli strati spuntavano ossami di animali preistorici e tracce di focolari accesi oltre 10.000 anni fa negli accampamenti degli ultimi cacciatori preistorici.  

   Poi, nel sogno, le immagini si dissolvevano, trasformandosi nel rumore di mega-scavatrici che foravano la roccia, lacerando fossili marini e impastando il "tufo" della collina con neri basalti dei camini vulcanici sottomarini di 30-40 milioni di anni fa: davanti a siffatte risultanze illuminati amministratori veronesi decidevano di far realizzare una "galleria geologica", parallela a quella del traforo. Si realizzava così un percorso dentro alle origini stesse della montagna veronese, un viaggio nei sedimenti marini del tempo dei pesci di Bolca, una risorsa culturale probabilmente unica nel suo genere ( e capace proporsi in sinergia con le collezioni conservate al Museo di Storia Naturale). 

   Come in una video-animazione lo scavo lentamente procedeva e contemporaneamente già si allestiva questa galleria per i futuri visitatori, quando una luce ne forò il fondo facendo apparire il profilo del Monte Ongarine: su lati della trincea, ormai sbucata nella valle di Avesa, si aprivano stratigrafie simili a quelle prima viste in Valpantena.  Da uno degli strati argillosi nerastri più profondi (la trincea raggiungeva quasi i 15 metri di profondità) emergevano lunghe zanne di mammouth, frammiste a manufatti di pietra lasciati dai cacciatori neandertaliani, probabilmente gli stessi che (circa 50.000 mila anni fa) avevano posto i loro campi di caccia stagionali sopra Avesa (trovati 50 anni fa nei ripari sottoroccia del vajo Gallina).  E la trincea procedeva sempre più lentamente verso ovest, al ritmo degli scavi archeologici necessari a ricuperare quella grande quantità e complessità di reperti e informazioni; e gli amministratori veronesi, felicemente sorpresi da tante scoperte, decidevano di realizzare, in corrispondenza del previsto svincolo autostradale, un nuovo museo locale che integrava la "galleria geologica" prima allestita.

   Solo in un sogno molti anni possono passare nel breve tempo onirico, e con loro passavano amministratori ed archeologi, ma i nuovi (eletti e tecnici) caricati di entusiasmo dal crescente successo di pubblico delle due nuove realizzazioni culturali, facevano proseguire lo scavo della trincea (più fondo per potervi realizzare la strada coperta, a 4 corsie) verso il fondovalle di Quinzano. 

   Procedendo verso ovest, la successione di strati di sabbie e ghiaie lasciate dall'Adige preistorico si intercalava con livelli argillosi più profondi: sotto agli strati delle ville rustiche romane (sorte ai margini della via consolare Claudia Augusta), si facevano più frequenti i ritrovamenti di vasi preistorici (a volte persino integri) lasciati dagli agricoltori che, fra 3.000 e 5.000 anni fa, per primi avevano messo a coltura i campi lungo la sponda sinistra dell'Adige antico (resi fertili dai limi  delle ricorrenti alluvioni post-glaciali).  Ad un certo punto, mentre il profilo di San Rocchetto, si avvicinava al ritmo, lentissimo e meticoloso del lavorio archeologico, dagli strati posti a 4-5 metri sotto la superficie iniziarono ad emergere, sempre più numerose, prima buche di palo e poi sepolture di scheletri rannicchiati (dotate di ricchi corredi funebri): stava riaffiorando il villaggio e la necropoli dei primi agricoltori veronesi. Pieralberto Angela (conduttore della nota trasmissione "Quark 2050") si affrettò a dedicare un'intera serie di puntate a queste nuove scoperte, rese subito famose dalla già consolidata notorietà dei ritrovamenti di Avesa e Poiano.

     Ma proprio durante una di queste riprese dagli strati più profondi della trincea emerse ..... l'uomo di Quinzano, un consistente gruppo di sepolture di "Homo veronensis" risalenti ad almeno 200 (o forse 300) mila anni fa: i "primi veronesi" erano stati deposti entro cerchi di ciottoli, con corredi di manufatti in selce e in osso d'elefante. Resti di ippopotami, leoni delle caverne, orsi spelei e grandi cervi continuavano ad affiorare mentre la trincea superava la chiesa di San Rocco, il cui paesaggio era stato, nel frattempo, adeguatamente valorizzato come testimonianza della Verona medievale extra-urbana.

   Scoperta dopo scoperta, lo scavo del "traforo" era ormai diventato il più grande cantiere archeologico italiano, ed i suoi risultati (e realizzazioni  derivanti) facevano ormai invidia ai programmi di archeologia preventiva che la Francia aveva già sistematicamente avviato (dagli anni '70 del XX secolo) su tutti i tratti autostradali in costruzione.  Io (e il sogno) ci sentivamo ormai appagati da tanta soddisfazione archeo-amministrativa, ma quanti decenni erano passati? Non si era ancora incrociato il tracciato della statale per Parona quando dallo scavo emerse un lungo tratto dell'originaria pavimentazione della Via Claudia Augusta, affiancata dall'acquedotto che 2000 anni  fa portava l'acqua delle sorgenti di Parona e Novare nella Verona romana.  Fu così che si decise di spostare il tracciato, sia della vecchia statale che della nuova allacciante, per poter conservare questo prezioso lembo di storia antica; in breve una nuova linea di tram (mossi ormai ad energia fotovoltaica) collegò direttamente l'Arena con il nuovo sito archeologico, moltiplicando ulteriormente le visite guidate e i posti di lavoro guide veronesi. 

   Forse perché, anche nel sogno, cominciavo a rendermi conto di essere diventato ormai ultracentenario, stavo per svegliarmi quando un nuovo strato non molto profondo fece emergere le fondamenta di una grande curtis altomedievale: portavano evidenti segni di un crollo improvviso ed i muri risultavano in più punti fratturati, spezzati cioè dal movimento di un terremoto fortissimo.  Aggrappandomi alle ultime immagini del sogno, partecipai ad un convegno di sismologi riuniti a discutere il ritrovamento delle tracce del terremoto che colpì Verona nel gennaio del 1117, una serie di scosse (anche del 7-8 grado della scala Ritcher) che rasero quasi al suolo gli edifici e le mura cittadine.

   Nel sogno il convegno si concludeva affermando l'urgenza di dare agli edifici veronesi (vecchi e nuovi) tutte le attenzioni ed i rinforzi necessari affinché la struttura sismogenica (sepolta fra l'Adige e la pedemontana e con  effetti stimati ricorrenti ogni 1000 anni circa) non tornasse a produrre ancora danni gravissimi alle costruzioni ed ai veronesi. 

   Oniricamente, non ho fatto a tempo per vedere inaugurato il nuovo ponte sull'Adige previsto dall'originario progetto del traforo, ma le ultime immagini si dissolsero su uno scorrere ordinato di autovetture (prive di emissioni visibili e annusabili, dunque ad idrogeno o a pannelli solari?) e biciclette (su ottime piste ciclabili bordate di verde), mentre la voce del futuro sindaco di Verona (presentato non più come arcicigno "podestà" ma come "primo cittadino") svaniva: il traforo era stato inaugurato ma solo come allacciante nord per il traffico locale, aggiungendo che il traffico pesante era ormai deviato lungo trasporti ferroviari sia nord-sud che est-ovest.

   Il sogno (e anche la mia personale proiezione di particolare allungamento della vita) era ormai terminato. Mentre il risveglio e il "pessimismo della ragione" cominciavano a ridimensionarmi quegli splendidi scenari di una Verona divenuta a capitale della cultura europea (invece che megalopoli turistica sempre più assediata dallo smog) un'ultima "voce" fuori campo ripeteva convinta: "Anche se durerà decenni, lo scavo del cosiddetto traforo delle Torricelle sarà la più grande occasione per conoscere e far conoscere 3000 secoli di storia veronese affacciata sulle rive dell'Adige"!