Con la crisi dell'economia, quella energetica e ambientale passano in secondo piano. Ma è veramente così?

In questi tempi di petrolio ben al di sotto dei 40 dollari al barile, più di qualcuno mi domanda, spesso in tono sarcastico, se le teorie che parlano del picco del petrolio non vadano riviste.

È sempre così: con il petrolio a 147 e fischia dollari, l'emozione monta e chiunque si fa più attento ai nostri temi, la necessità di una ripresa dei consumi, come ha fatto giustamente e mestamente notare il nostro Antonio Nicolini qui.

Dunque la crisi economica ha allontanato, e forse scongiurato, il picco di produzione petrolifera? Ho due obiezioni da fare a questo riguardo, la prima è di carattere aritmetico, e quindi poco interessante, l'altra invece riguarda più  l'interpretazione della realtà, e quindi è più affascinante dal punto di vista sociale e matematico.

Prima considerazione: l'attuale crisi economico-finanziaria, facendo crollare la domanda di petrolio, ha paradossalmente accelerato il raggiungimento del picco del petrolio.

Una diminuzione della domanda non può che provocare una diminuzione dell'offerta, ed è proprio quello che è successo in questi giorni: l'Opec ha deciso di tagliare la produzione della cifra spropositata di 2,2 milioni di barili al giorno.

Se è vero quello che sostengono persone più informate di me,  eravamo già molto vicini al picco, del resto sono tre anni che la produzione langue attorno agli 85 milioni di barili al giorno, senza crescere di una goccia. Quindi, è logico aspettarsi che, dopo questa diminuzione, la produzione non sarà più tanto elastica alla ripresa dell'economia, e che quindi non crescerà più per il resto della storia.

Detto in altre parole, far calare la produzione in un momento così vicino al picco, significa iniziare prima l'ineludibile fase discendente, con tutto quello che essa comporterà.

La seconda considerazione riprende il discorso di Antonio, e ribadisce, una volta di più la stupidità e l'inadeguatezza degli economisti, categoria alla quale mi vergogno un po' di appartenere. È prassi comune, in economia, considerare solo una variabile alla volta, un po' per semplificare i calcoli, un po' per la capienza delle menti economiche a disposizione, oggettivamente carenti di materia grigia.

seno

Consideriamo la curva ciclica dell'economia: essa assomiglia tanto alla funzione del seno, qui accanto esemplificata. Ora siamo in un'evidente fase recessiva, più o meno al punto indicato dalla freccetta, quindi non dobbiamo far altro che spendazzare di più, soldi nostri o a credito non importa, per anticipare la fase ascendente, che inevitabilmente seguirà quella attuale.

Di qui gli appelli a comprare, fatti dai giornali di informazione, anche quelli di sinistra, di cui si lamentava il Nicolini.

Ma, ahinoi,  i flussi economici ciclici non sono l'unica funzione da osservare. A differenza degli economisti, occorre ragionare in maniera multidimensionale, introducendo almeno altri due fattori chiave: quello energetico (eh, eh, credevate me lo fossi dimenticato?), e quello ambientale.

peak

Dal punto di vista energetico, sul picco del petrolio  non mi dilungo, basta scaricare questo documento (petrolio.pdf) per dare un'idea a chi non ce l'ha.

Cosa succederà all'economia  quando la domanda riprenderà a salire, ma non ci sarà abbastanza energia per sostenerla? Semplice: l'economia non crescerà.

Ma l'aspetto più importante del capolinea a cui siamo arrivati, con il sistema neo-liberista globalizzato, è quello ambientale. Il sistema terra, come dice giustamente Nicolini, ha già dato più di un segno di insofferenza nei nostri confronti,  in più di una direzione:

Se volessimo matematizzare anche il benessere del pianeta e dei suoi abitanti, potremmo avere un grafico  come quello qui a fianco. Sull'ordinata mettiamo la salute del pianeta (e dei suoi abitanti), sull'ascissa un valore a caso tra quelli prima elencati, per esempio la CO2: il sistema regge, più o meno stabile, fino a che lo squilibrio da noi prodotto non lo fa collassare.

A quel punto sono uragani, allagamenti, alluvioni e chissà cos'altro. Anche qui è lecito chiedersi: cosa succederà quando avremo passato questa transitoria fase di recessione, nella quale ci saremo bellamente fregati di cose come il protocollo di Kyoto, l'inquinamento, lo spessore dei ghiacciai?

Perché, invece di spronare al consumo, non sfruttiamo questa maledetta recessione come un allenamento in funzione del mondo che verrà? Un mondo in cui i rapporti economici avranno carattere locale, non strettamente economico, in cui dovremo autoprodurci la maggior parte dei beni, in cui dovremo mettere in condivisione gli strumenti e vivere rapporti solidali tra di noi.

Forse, dovremmo chiederlo agli economisti.