Un rapporto internazionale rivela che i figli hanno un reddito inferiore rispetto ai genitori, per la prima volta dal dopoguerra. Il sistema mostra segni di cedimento, ma i nostri politici perseverano nello svendere l'economia a multinazionali e centri commerciali. Verona avamposto in negativo.

"Oggi 'progresso' indica la minaccia di un cambiamento inesorabile e ineludibile, che invece di promettere pace e sollievo non preannuncia altro che crisi e affanni continui, senza un attimo di tregua."

Zygmunt Bauman


Allora, questa crisi, c'è o non c'è? È una situazione concreta e visibile, oppure il costrutto mentale dei soliti gufi, come li chiamerebbe il presidente del consiglio?

Mentre ci arrovelliamo nel dubbio, la società di consulenza di direzione McKinsey & Company rilascia un rapporto secondo il quale gli attuali lavoratori hanno redditi inferiori rispetto alle generazioni precedenti. In pratica, dal dopoguerra, questa è la prima generazione di figli che ha un tenore di vita inferiore a quello dei genitori.

Lo studio di McKinsey, che analizza le economie più ricche del pianeta, ci dice che nel decennio 2005-2014 c'è stato lo stallo dei redditi: il 70% della popolazione ha i redditi fermi o in calo rispetto al punto di partenza. Non era mai accaduto nulla di simile dalla fine della seconda guerra mondiale.

L'Italia, guarda un po', è il paese più colpito: qui è il 97% delle famiglie ad avere reddito inferiore o uguale a dieci anni fa. Poi Stati Uniti, Inghilterra e Francia. All'opposto della classifica ci sta la Svezia, dove solo il 20% ha subito lo stallo.

Alla luce di questo dato, tutto diventa più spiegabile, dal populismo di Salvini, al pauperismo del papa, dal dilagare del terrorismo all'insofferenza nei confronti degli immigrati. In verità, forse non occorreva il rapporto dei cervelloni per farci capire che questo sistema è alla frutta.

Dopo il 1945 nei paesi sviluppati il "miracolo economico" sembrava inarrestabile. Dalla fine degli anni 70 questa crescita eclatante ha un po' segnato il passo, ma è stata prolungata artificialmente con un indebitamento molto consistente, che ci ha fatto tirare sereni fino al 2007. Sono anni che qualche mente illuminata cerca di spiegarci che la crescita infinita esiste solo nella teoria, e che il pianeta ha dei limiti. Ma noi no: continuiamo a correre come dei treni.

Qualche scricchiolio si fa comunque sentire: i barconi carichi di umani che reclamano la loro parte, l'ipertrofia finanziaria che ogni tanto sbrocca, ghiacciai che scompaiono e clima impazzito. Allora, i benefici dell'economia di mercato, della globalizzazione, del libero scambio non ci appaiono più attraenti come un tempo, ma, come le sirene di Ulisse, abbiamo la sensazione che nascondano una fregatura.

È difficile valutare l'entità della crisi visto che una parte della gente si lamenta e la parte rimanente si frega le mani. Una cartina di tornasole però c'è ed è ben chiara: i giovani. Da un po' di anni le loro prospettive di reddito sono praticamente a zero. Gravano sui bilanci familiari per periodi sempre più lunghi, anche quando uno straccio di lavoro riescono a trovarlo. Senza un costante aumento dei consumi, il sistema crea disoccupazione. Dall'altro lato la produzione di beni e servizi impiega sempre meno persone, e crea disoccupazione.

Di solito facciamo finta di ignorarli, talvolta arriviamo addirittura a dar loro la colpa di questa situazione: alcuni ministri, persone che ricoprono cariche vergognosamente privilegiate, li hanno chiamati bamboccioni e choosy.

Probabilmente questo è il segno che l'attuale sistema economico è giunto al capolinea, come scrivevamo in questo articolo.

Come se ne esce? McKinsey e soci ci danno un velato suggerimento: il fatto che Stati Uniti e Svezia si trovino ai lati opposti della classifica vi dice niente? Esatto: la soluzione sta nell'intervento dello stato. I paesi che brillano per liberismo (o corruzione, vedi Italia) sono i peggiori. Quelli da sempre votati al welfare, i migliori.

Ma non basta. È necessario rompere il meccanismo che ci chiede di consumare di più, ma non ci dà lavoro. La retorica renziana dice ai giovani: "Inventatevi il lavoro, siate creativi!" Il problema è che, mentre dicono questo, i politici proseguono nella sistematica demolizione dell'economia di prossimità che permetterebbe a queste e ad altre attività di sopravvivere.

A Verona stanno costruendo cinque giganteschi centri commerciali nel raggio di un chilometro, in aggiunta ai numerosi già esistenti, che stanno distruggendo le attività di piccoli e piccolissimi commercianti, attuale spina dorsale del sistema economico cittadino. Ogni centro commerciale porta pochi e malpagati posti di lavoro, ma cancella interi quartieri fatti di negozi e botteghe artigianali.

Ma non è colpa solo di Tosi o della Lega: si tratta di un progetto bi-partizan. Non è un mistero che Renzi sia un grandissimo amico delle multinazionali, che rappresentano la sua ricetta per portare soldi e lavoro. Meno stato e più multinazionali, appunto. Il contrario di quello che serve.